Stando alle parole di Javier Aldazabal, segretario del consiglio direttivo del club basco, sì. Il dirigente dell’Athletic ha sollevato un polverone pronunciando queste parole durante l’assemblea annuale dei soci: «L’Athletic è un marchio. Al giorno d’oggi sarebbe impensabile che qualcuno inventasse la “Coca Cola di Biscaglia”, usurpando il nome di terzi. Per di più, loro hanno usurpato nome, colori e stemma dell’Athletic […]. Dopo 100 anni di uso consentito e pacifico adesso è complicato tornare indietro».
Il riferimento è a ciò che accadde nel 1903, quando fu fondata la squadra oggi chiamata Atlético de Madrid. Alcuni studenti baschi residenti a Madrid, tifosi dell’Athletic, decisero di porre fine alla nostalgia verso il club biancorosso fondandone una succursale madrilena. Fu così che fondarono l’Athletic Club Sucursal de Madrid, che riprese nome, colori e stemma di quello bilbaino. Anzi, l’affinità tra i due club era molto più profonda, in quanto quello di Madrid rimase fino al 1921 una vera e propria costola dell’Athletic Club di Bilbao. Basti pensare che il punto 6 dello statuto del neonato club dichiarava che le due squadre non si sarebbero mai potute affrontare in competizioni ufficiali.

È proprio qui il nocciolo della questione. Seppur l’Atlético non ha voluto rispondere ufficialmente alle parole di Aldazabal, chi difende il club madrileno apporta una giustificazione forse superflua per la sua ovvietà: come si può tacciare di furto di identità un club che fu fondato proprio in omaggio all’Athletic, tanto da rappresentarne una succursale? Come ha dichiarato lo scrittore e giornalista sportivo José Antonio Martín, conosciuto in Spagna come Petón, «nelle vetrine dell’Athletic ci sono finali della Copa de España nelle quali furono schierati più giocatori dell’Athletic di Madrid che dell’Athletic di Bilbao».
La supposta usurpazione dei colori e dei simboli dell’Athletic fu invece un’azione concordata tra la dirigenza di Bilbao e la succursale di Madrid. Negli anni che seguirono la fondazione del distaccamento madrileno, entrambi i club indossavano una divisa mezza bianca e mezza blu, come quella dei Blackburn Rovers, e condividevano lo stemma che vedeva una “A” e una “C” sovrapposte e racchiuse in due fasce bianco-blu.

I due Athletic furono uniti anche nel cambio di colori: nel 1910 Juan Elorduy, giocatore e dirigente del club basco, si recò nel Regno Unito e con l’occasione ebbe l’incarico di comprare le maglie per entrambe le formazioni. Ma, come spesso è accaduto agli albori del calcio europeo, una casualità determinò l’andamento della storia: non riuscendo a trovare le divise del Blackburn, Elorduy tornò in terra iberica con quelle bianco-rosse del Southampton. La scelta di Elorduy, fatta all’ultimo minuto per non tornare a mani vuote, ancora oggi determina i colori sociali di Athletic e Atlético.
La separazione ufficiale dei due Athletic avvenne nel 1921, anche se già da anni il club di Madrid si era reso più indipendente. La finale di Copa del Rey di quello stesso anno vide per la prima volta opporsi le due formazioni sorelle, entrambe vincitrici del proprio campionato regionale. Il direttivo dell’Athletic di Bilbao chiese di poter giocare la finale nella capitale basca invece che a Siviglia, dove era prevista. Il presidente dell’Athletic di Madrid accettò e, complice la sconfitta, fu sommerso dalle critiche dei tifosi madrileni. La partita tuttavia si giocò in un clima di festa e il San Mamés con 20 mila spettatori fece record di incassi.
È dunque evidente che le parole pronunciate da Aldazabal siano state prive di senso e soprattutto di fondamento storico. Non è bello vedere come una storia di fratellanza durata quasi vent’anni sia oggi del tutto ignorata da chi rappresenta il club. Ma non si può criticare solo il dirigente dell’Athletic Bilbao. Da una rapida occhiata online, risulta evidente che la dirigenza dell’Atlético Madrid cerchi di nascondere il passato di squadra-succursale, considerato forse poco onorevole per un club il cui palmarés ha superato quello della squadra-madre.
Basta cliccare sulla sezione “Storia” del sito dell’Atlético per scoprire che l’obiettivo degli studenti baschi che lo fondarono era solo quello di creare “una nuova istituzione che avrebbe dovuto competere con il più nobile e impeccabile talento sportivo”. Ma come? Nessun riferimento al fatto che fossero tifosi dell’Athletic di Bilbao? Non si legge da nessuna parte che la fondazione del club di Madrid è stata un genuino atto di omaggio verso il club basco. Andando avanti sulla linea del tempo che presenta la pagina web, non si incontra alcun riferimento alla subalternità della squadra madrilena rispetto a quella basca. Lo stesso accade nella sezione dedicata alle maglie del club.
Ovviamente nessun dirigente dell’Atlético negherà mai esplicitamente il passato, ma è evidente il tentativo di nascondere il ventennio di subalternità nel “biglietto da visita” del club online, sia in spagnolo che in inglese. Questo aspetto non va sottovalutato, soprattutto per un club dalla vocazione internazionale come l’Atlético Madrid di oggi. E allora, se si vuole evitare altri errori da parte di dirigenti dell’Athletic, può essere forse utile aggiornare la propria presentazione online e ricordare al mondo di essere nati come succursale del club di Bilbao. Senza vergognarsi.
In copertina: “Idilio en los campos de sport”, dipinto di Aurelio Arteta (1913-15 ca), raffigurante il celebre attaccante dell’Athletic Bilbao “Pichichi” e la sua fidanzata
Pubblicato su Gioco Pulito l’1 novembre 2016