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Amedspor, la squadra curda che spaventa Erdogan

Lo scorso 2 febbraio l’unità anti-terrorismo della polizia turca ha fatto irruzione nella sede dell’Amedspor, sequestrando computer e documenti dagli uffici del club. L’Amedspor è una squadra di terza serie e ha sede a Diyarbakır, capitale del Kurdistan turco sulle sponde del fiume Tigri. Il 31 gennaio, contro ogni previsione, aveva clamorosamente eliminato dalla coppa nazionale il Bursaspor, squadra della massima serie turca, garantendosi un posto ai quarti di finale contro il Fenerbahce primo in campionato.

La notizia dell’irruzione, diffusa in Italia attraverso i canali social del blog Minuto Settantotto, è stata divulgata in inglese dall’agenzia di stampa turca Cihan e dal sito d’informazione Kurdish Question.  Rispetto ai motivi ufficiali del blitz, però, è necessario procedere con cautela. Stando a quanto riportato da Today’s Zaman, versione in lingua inglese del quotidiano turco Zaman, il vicepresidente del club Nurullah Edemen avrebbe dichiarato che nessun dirigente dell’Amedspor è stato informato sui motivi dell’irruzione, nonostante tutto il direttivo fosse presente in sede.

Il sito Kurdish Question ha invece sostenuto che la polizia ha proceduto in seguito ad un tweet inneggiante al terrorismo, attribuito dalle forze dell’ordine all’account della stessa società sportiva. Come ha invece chiarito il dirigente Servet Erol, il tweet era stato diffuso da un account che nulla ha a che vedere con quello ufficiale: un errore molto grossolano, che ha indotto la dirigenza dell’Amedspor a credere che quella della polizia sia stata un’operazione intimidatoria, più che di indagine.

Il tweet in questione, ormai eliminato, dedicava l’incredibile vittoria contro il Bursaspor a chi combatte nelle città di Şırnak e Diyarbakır e a tutto il popolo curdo. Parole in cui riecheggiano i cori da stadio che sono costati caro ai tifosi dell’Amedspor. Infatti i rossoverdi, durante la precedente partita di coppa, giocata a Istanbul contro il Başakşehirspor, avevano intonato canti a favore dei combattenti curdi e contro le stragi di bambini.

A seguito della partita, ai tifosi era stata vietata la trasferta di Bursa, costringendoli a seguire a distanza lo storico successo della loro squadra. Ma ancora più eclatante è stato l’arresto a Istanbul di decine di tifosi – più di trenta per Kurdish Question, di cento per Today’s Zaman – colpevoli di aver intonato i cori sgraditi.

Le sanzioni

Ma le sanzioni a seguito della partita non riguardarono solo i tifosi. Il giocatore Deniz Naki, artefice del secondo goal contro il Bursaspor, fu squalificato per 12 giornate e multato di 19.500 lire turche, colpevole di aver pubblicato sui social un post che recitava: «Siamo fieri di essere un piccolo spiraglio di luce per la nostra gente in difficoltà. Come Amedspor, non ci siamo sottomessi e non ci sottometteremo. Lunga vita alla libertà!». Come riportò Kurdish Daily Newsil giocatore fu accusato di “discriminazione e propaganda politica”. Naki, un passato nel FC Sankt Pauli di Amburgo, porta tatuata sul braccio la parola Azadî, libertà.

Non fu la prima volta che la squadra rossoverde si rese scomoda al regime di Erdoğan. Nell’ottobre del 2014 il club, che portava il nome turco della città di Diyarbakır, rimediò una multa dalla Federazione turca per aver cambiato nome in Amedspor, utilizzando la denominazione curda della città. Contemporaneamente, un cambio nello stemma permise ai tifosi di sventolare i colori della bandiera del Kurdistan, vietata in Turchia: un espediente non nuovo nel mondo del calcio, che ricorda – con le ovvie e dovute differenze – quando durante il regime di Franco i catalani quasi elessero a nuova bandiera nazionale quella blaugrana, per rimpiazzare la senyera vietata dalla dittatura.

La Coppa di Turchia 2015-16 è entrata nella storia della questione curda. Una squadra di terza divisione stva incredibilmente scalando la Coppa nazionale, portando la voce dei curdi lì dove meno la si vorrebbe in evidenza. La compagine venne poi eliminata ai quarti dal Fenerbahce ma ancora oggi, ad ogni partita dei rossoverdi, si alza il grido di un popolo che chiede di poter vivere in pace rivendicando la propria identità.

La partita con il Başakşehirspor a Istanbul fece clamore per i cori, gli arresti, il divieto di trasferta. L’eccezionale qualificazione ai quarti ai danni del Bursaspor fece parlare tutto il paese di questa squadra ribelle, che forse arrivò troppo in alto iniziando a dar fastidio, tanto da essere divenuta oggetto di un’irruzione che ancora oggi sembra poco motivata.

I tifosi uniti

La questione unì anche le tifoserie avversarie, che a più riprese negli anni hanno espresso solidarietà nei confronti del popolo curdo. Ci si può fare un’idea leggendo qualche riga del comunicato che decine di gruppi ultras della Turchia, tra cui tifosi di Amedspor e Fenerbahce, diffusero a gennaio 2014 (traduzione di E. Karaman): «Il governo si riempie da sempre la bocca con lo slogan “non dividiamo il paese”, ma poi perseguita e uccide proprio chi vuole che il nostro paese viva in pace e in armonia tacciandoli come traditori. In questo paese c’è soltanto una distinzione: chi, guardando un bambino morto a terra colpito da una pallottola, si domanda se quel bambino fosse curdo o meno e chi invece piange tutti i bambini di tutte le etnie. […] La vergogna più grande dell’umanità è la colpa della guerra, una guerra di cui noi non faremo parte».

Pubblicato su Gioco Pulito il 5 febbraio 2016

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