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Il “po po po” da Bruges a Sanremo: genesi di un canto nazionalpopolare

In principio furono i belgi. Anzi, gli stabiesi. No, i perugini. La disputa su chi abbia avuto per primo l’idea di adattare “Seven nation army” dei White Stripes a coro da stadio non si è mai chiusa e in fondo nulla vieta che diverse tifoserie lo abbiano fatto indipendentemente. Ma la colonna sonora del Mondiale 2006 ha una derivazione ben precisa: nasce a Milano da un gruppo di tifosi del Bruges e passando per Roma arriva in tutta Italia.

La leggenda vuole che prima di un Milan-Club Brugge del 2003 alcuni belgi in trasferta ascoltarono l’ipnotizzante riff di Jack White in un bar milanese e lo fecero proprio. Dentro lo stadio il motivo fu riproposto e, complice l’inaspettata vittoria del Brugge, l’importazione in patria del nuovo coro fu facile. Quei tifosi non sapevano di aver inventato il nuovo inno del calcio mondiale. I milanisti a San Siro non immaginavano che tre anni dopo avrebbero cantato quella canzone per tutta l’estate.

A riportare il coro in Italia fu Simone Perrotta. In realtà furono i tifosi che seguirono la Roma a Bruges ai sedicesimi di Coppa UEFA 2006, ma senza il goal vittoria dell’anglo-calabrese non avrebbero mai potuto sbeffeggiare i belgi copiandogli la canzone. Era il 15 febbraio del 2006 e la Roma spallettiana era giunta alla nona delle undici vittorie che segnarono quella stagione. Complice anche in questo caso la vittoria in trasferta, nonché il grandioso momento che stava attraversando la Roma, il coro-loop ebbe rapida fortuna nell’ambiente giallorosso, sconfinando presto dalla Curva Sud per divenire patrimonio comune del romanismo.

Il canto dei romanisti a Bruges

Ogni volta che sento il Po po po avverto una punta di irriverenza verso gli sconfitti: non so se sia insita nel motivetto o sia dovuta alla circostanza che ne vide la diffusione a Roma. Sta di fatto che sulle sponde del Tevere le note dei White Stripes trovarono presto un verso ottonario pronto a corredarle e completarle: bian-co-az-zur-ro-bas-tar-do. Con tutti gli sfottò, le lamentele, le note sul registro, le chat di MSN e gli scherzi in radio del caso.

Veniamo alla ribalta nazionale. Questa fu raggiunta dal neonato coro il 28 febbraio del 2006 a Sanremo. Quale contesto migliore del Festival della Canzone Italiana? Insulso, sciovinista, ripetitivo, melenso, superficiale, demagogico, dozzinale. Eppure generalmente riconosciuto e seguito, proprio come quel ripetitivo coro. Fu dalle prime file del Teatro Ariston che Francesco Totti si esibì in una ridicola quanto celebre storpiatura del canto da stadio e sancì la sua metamorfosi definitiva in cantilena nazionalpopolare.

Ora riguardalo facendo caso solo alla faccia di Ilary.

A maggio Totti replicò la performance in radio da Fiorello, arricchendola però con la frase sui laziali. Seguirono fiumi di scuse, ma il dado era tratto: il Po po po era un affare nazionale. Da lì a Italia-Ghana il passo fu breve: dallo stadio di Hannover si alzò il coro che accompagnò gli Azzurri fino alla vittoria. “A seven nation army couldn’t hold me back” fu presa come un’esatta profezia: sette nazionali sono quelle che batte chi vince il mondiale.

Cosa era scattato tra maggio e giugno è difficile dirlo: probabilmente alla diffusione del coro avevano contribuito anche i numerosi remix che circolarono per le discoteche di tutta Italia. Ancor più massiva fu la sua diffusione post-Mondiale: un esercito di adolescenti invase le mete turistiche italiane ed europee cantando il Po po po. E così, fra un falò in spiaggia e una serata house, per un anno parecchi italiani si sentirono invincibili.

Oggi è difficile trovare una nazione occidentale o uno sport di squadra in cui non si sia cantato il Po po po. Lo hanno cantato i bavaresi dopo aver vinto la Champions contro il Borussia, lo hanno diffuso gli altoparlanti di tutti gli Europei dal 2008 a oggi, lo cantano gli inglesi (ma lì è Duh duh duh), lo cantano a Madrid, lo cantano in Australia. Lo cantano i tifosi dei Baltimore Ravens in NFL e quelli dei Miami Heat in NBA. Lo cantano di nuovo gli italiani a Brasile 2014, stimolando una celebre uscita alla Titti e il gatto Silvestro di Caressa.

Viste le premesse, per fortuna quel Mondiale lo abbiamo perso.

Insomma, sono passati dieci anni dalla sua consacrazione e il Po po po è passato da coro di curva a inno nazionale, per poi essere universalmente riconosciuto come canto di vittoria nello sport. Mentre scrivevo questo pezzo, Griezmann ha segnato i due goal che portano la Francia in finale di Euro 2016: dal Velodrome si è alzato per due volte il Po po po…

Certo che però bisogna volersi proprio male.

Pubblicato su Crampi Sportivi il 9 luglio 2016

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