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Tag: rayo vallecano

  • Il fascino indiscreto della “franja roja”

    Una pennellata di rosso che sporca la verginità della maglia bianca: sua maestà la fascia diagonale. Semplice, classica e al contempo anticonformista. Nota a tutti eppure rara, estremamente riconoscibile sul rettangolo di gioco in qualsiasi condizione climatica. Un pezzo di stoffa cucito su pesanti maglie di lana di cento anni fa che oggi è divenuto leggenda. Qui ripercorriamo la storia di cinque squadre il cui petto è attraversato dalla fascia rossa. Anzi, ripercorriamo la storia della franja.

    1) RIVER PLATE

    Il River Plate è la squadra dalla franja roja per eccellenza. Fu probabilmente il primo club ad adottarla, almeno tra quelli che dall’era amateur sono giunti fino al calcio di oggi. L’inserimento della fascia diagonale rossa sulle divise allora bianche risale infatti a più di cento anni fa, ma le sue origini sono tuttora incerte. La versione più accreditata vuole che essa apparve per la prima volta tra il 1905 e il 1908 come espediente per differenziarsi da altri avversari che vestivano di bianco. Ma la leggenda, più romantica, dice che dei bambini rubarono una fascia di seta rossa da un carro del carnevale di Buenos Aires per abbellire le maglie del River. Un’altra versione apocrifa vuole la franja come simbolo massonico, mentre un’altra forse più plausibile la vede come evoluzione della croce di San Giorgio, voluta da alcuni fondatori italiani del River per ricordare Genova. Le radici di quel tocco di rosso affondano in un passato che, per assenza di fonti certe, non possiamo più considerare storico, ma mitico.

    2) RAYO VALLECANO

    I franjirrojos di Madrid devono la loro maglietta al River Plate e a un particolare accordo raggiunto con i più blasonati concittadini dell’Atlético Madrid. La squadra del quartiere operaio di Vallecas indossò infatti una divisa totalmente bianca per più di trent’anni dal giorno della sua fondazione, avvenuta nel 1924.

    Nel 1949 il club si trovava in condizioni economicamente sfavorevoli e si vide costretto a sedersi al tavolo con l’Atlético per trattare la cessione temporanea di alcuni giocatori. Ne risultò il seguente accordo: i colchoneros prestavano i giocatori per un anno, ma durante quel tempo il Rayo avrebbe dovuto aggiungere un particolare rosso alla sua maglia, al tempo troppo simile a quella del Real Madrid. Il Rayo scelse di utilizzare una divisa come quella del River Plate. Dopo una stagione i giocatori tornarono all’Atlético, ma il Rayo scelse di mantenere la franja. Negli anni immediatamente successivi, in occasione di un Real Madrid – River Plate, la dirigenza del Rayo volle dimostrare la propria stima al club argentino regalando una foto firmata dai giocatori. Ricevette in cambio due set di magliette del River. Oggi a Vallecas la franja ha assunto una valenza simbolica talmente forte da poter essere utilizzata come sineddoche per riferirsi al Rayo. Luchar por la franja = lottare per il Rayo. Chiaro?

    3) PERÙ

    L’apparizione della fascia rossa sulle maglie della selezione peruviana coincide con una pagina incredibile di storia sportiva: il torneo di calcio ai Giochi Olimpici del 1936 nella Germania nazista. Quello vinto dalla Nazionale italiana. Il Perù esordì sconfiggendo la Finlandia ai quarti per 7 a 3. Poi fu la volta dell’Austria: il primo tempo si chiuse sul 2 a 0 per gli austriaci, ma il secondo finì 2 a 2. I tempi supplementari sancirono la vittoria del Perù per 4 a 2, nonostante tre ulteriori goal annullati e un arbitro accusato di parzialità. La FIFA però annullò la partita per un’invasione di campo dei tifosi peruviani: armati e violenti, secondo gli europei, pacifici, secondo i sudamericani. Il Perù si rifiutò di ripetere il match e ritirò la sua intera delegazione olimpica, che a Lima fu ricevuta con un bagno di folla.

    Durante l’edizione Centenario della Copa América il Perù ha indossato una particolare divisa con la fascia diagonale più fina che termina circa a metà della maglia: era un omaggio alla selezione che nel 1939 vinse il suo primo trofeo internazionale, il Campeonato Sudamericano, poi divenuto Copa América.

    4) MANTOVA

    C’è anche un’italiana nel club della franja roja. Il Mantova è stato bianco-azzurro fino al 1956. Quell’anno la società ottenne la sponsorizzazione da parte della raffineria OZO, la quale impose l’adozione dei colori aziendali, che – per fortuna di tutti – sono anche i colori comunali. La banda rossa, assieme alla “O” di OZO, caratterizzò le divise mantovane durante gli anni della sponsorizzazione e nei successivi anni Sessanta. Riapparve occasionalmente negli anni Novanta e fu definitivamente adottata a metà degli anni Duemila sotto la presidenza di Fabrizio Lori. Nel 2011, in occasione del centenario, il Mantova ha riunito tutti i colori della sua storia in una sola maglia: fondo azzurro e fascia diagonale bianco-rossa.

    5) SEVILLA ATLÉTICO

    L’ultima squadra da includere in questa piccola selezione di club franjirrojos (come si dice in italiano, rossofasciati?) è una cosiddetta squadra B. Nel 1950 nacque il CD Puerto, club gialloblù amministrato dall’autorità portuaria di Siviglia, famoso per aver ospitato nel 1953 la prima partita con illuminazione elettrica su suolo spagnolo. In pochi anni il CD Puerto passò dal calcio locale alla Tercera División, senza tuttavia riuscire a costruire una comunità di tifosi degna della categoria. Il club si affiliò al Siviglia nel 1958, pur mantenendo i propri colori e simboli.

    Nel 1960 il Siviglia decise che la squadra affiliata dovesse allinearsi anche dal punto di vista dell’identità visiva. Alla fine dei negoziati tra le due dirigenze, il CD Puerto assunse nome, colori e stemma simili ma non identici a quelli del Siviglia. Si decise dunque che la tradizionale maglia bianca sarebbe stata attraversata diagonalmente da una fascia rossa e che lo stemma sarebbe stato di forma uguale a quello della prima squadra, ma con la Torre della Giralda e la franja roja al suo interno.

    La banda rossa fu poi abbandonata a partire dagli anni Settanta. Negli anni Novanta la Ley del Deporte 10/1990 obbligò tutti i club a inglobare le squadre affiliate e anche il nome cambiò in un banale Sevilla B. Tuttavia, nel corso degli anni 2000 il Sevilla Atlético ha recuperato la sua identità visiva originale, risalente al 1960, ed è pertanto l’unica squadra B spagnola con la maglia differente dalla prima squadra. Ah, al momento è anche l’unica squadra B spagnola a giocare in Segunda División.

    6) BIRRA RED STRIPE

    Aggiungiamo un bonus track a questa piccola selezione. Non è una squadra di calcio, ma una birra. Fondata in Giamaica nel 1928, è stata sponsor della Nazionale di Bob giamaicana e dà tuttora il nome al principale campionato di calcio dell’isola, la Red Stripe Premier League. Per la sua etichetta e per aver fatto della red stripe il suo principale segno di riconoscimento, le spetta di diritto un posto in questa piccola rassegna.

    Pubblicato su Crampi Sportivi il 7 novembre 2016

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  • Rayo Vallecano, la classe operaia va in Oklahoma

    Non un posto qualsiasi

    A Madrid c’è un quartiere unico al mondo. Chiamarlo quartiere è riduttivo: è una porzione di città che prende dodici fermate di metropolitana, dal centro verso sud-est. Ma la questione non è solo urbanistica, perché al concetto di barrio sta stretta qualsiasi traduzione: mancano la solidarietà, la complicità e l’orgoglio che queste cinque lettere abbracciano nella loro sfera semantica. Soprattutto se il barrio in questione è quello di Vallecas.

    L’indole degli abitanti, la storia politica, la boxe e il calcio hanno reso celebre Vallecas in Spagna e nel mondo. Ma non stiamo parlando di una zona ricca, anzi: a renderla nota ai più in passato sono stati anche droga, criminalità, orrori urbanistici e altre situazioni di disagio. Le sue contraddizioni a molti fanno paura, altri amano Vallecas proprio perché in essa vivono allo stesso tempo l’antico spirito popolare madrileno e una comunità inclusiva e multiculturale.

    La sua squadra di calcio è il Rayo Vallecano, un club che da più di novant’anni vive per la sua gente, l’unico a portare mai il nome di un quartiere in Primera. Il suo stadio è il Campo de Fútbol de Vallecas, noto ai detrattori come el futbolín, il biliardino: sarà perché al posto di una curva ci sono due palazzi, sarà perché come dice il nome più che uno stadio è un campo di calcio vero e proprio.

    Oggi il Rayo, dopo cinque gloriosi anni in Primera, se ne torna in Segunda División, la serie che storicamente è la sua casa. Lo fa dopo una stagione di speranze, ma anche con i dubbi sul comportamento di alcuni giocatori, indagati dalla LFP per sospetta combine nello scontro salvezza. Lo fa dopo la tragica sconfitta ad Anoeta e la peggiore combinazione possibile di risultati delle altre squadre, punito dal solo punto che lo separa da Sporting Gijón e Granada.

    Ma non sarà questo articolo la sede del lamento per la squadra che in questi anni si è fatta amare dagli spiriti ribelli di mezza Europa. Non sarà nemmeno un tentativo di riassumere le pagine di storia sociale e politica del calcio che il Rayo e i suoi tifosi hanno scritto. Qui si racconterà la paradossale storia di come quella che probabilmente è la tifoseria più anticapitalista di Spagna si sia ritrovata strattonata da Occidente e da Oriente dalle due più grandi potenze industriali del mondo.

    Tuoni e fulmini

    Notizie di questo tipo possono giungere solo in due momenti dell’anno: il primo aprile o ad agosto. Purtroppo per i tifosi del Rayo, questa è arrivata nel mese in cui l’opinione pubblica è più distratta e l’asfalto di Vallecas si scioglie sotto il sole di Madrid. Ad annunciarlo, il quotidiano AS: «Il Rayo compra la maggioranza azionaria dell’Oklahoma City». Nei giorni a seguire arrivano le conferme: dal 2016 la NASL, seconda lega più importante del Nord America, ospiterà un nuovo club denominato Rayo Oklahoma City, simile a quello madrileno per nome, colori, maglia e stemma. Il presidente definisce l’operazione necessaria.

    Reazione tipo dell’abitante di Oklahoma City: «Che cos’è il Rayo?».

    Reazione tipo dell’abitante di Oklahoma City che sa cos’è il Rayo: «Il Rayo? Non è quella squadra in difficoltà economica da anni, che ogni stagione fa il mercato con un budget pari a zero?».

    La reazione tipo del tifoso rayista quando apprende la notizia è meglio ometterla. Sta di fatto che ad agosto 2015 del Rayo proprio non si poteva dire che fosse una società in salute. Solo un anno prima il presidente Raúl Martín Presa aveva annunciato di voler tagliare i pochi fondi che alimentavano la squadra femminile, tre volte campione di Spagna dal 2009 al 2011, scatenando una sommossa popolare.

    Sulla natura dell’accordo a stelle e strisce non ha mai smesso di gravitare un alone di mistero. Secondo El Confidencial, i diritti dell’Oklahoma City FC, defunta squadra locale che avrebbe dovuto partecipare al campionato NASL 2016, sono passati in mani spagnole per circa un milione di euro.

    Ciò che è chiaro è che da quest’anno, oltre ai Thunder della pallacanestro, Oklahoma City può annoverare tra le proprie franchigie anche il Rayo OKC. Tuoni e fulmini, neanche a farlo apposta. La speranza è che il gioco di parole sia solo frutto di una coincidenza, altrimenti la vicenda acquisirebbe contorni ancora più grotteschi.

    Il sogno americano

    Facciamo un po’ di chiarezza. Oklahoma City già ha la sua squadra di calcio da due anni: si chiama Oklahoma Energy e milita nella USL, considerata la terza lega più importante dell’America settentrionale. I verde-blu dell’Energy hanno avuto un’affluenza media di 4600 spettatori durante il 2015 e giocano all’interno dei confini della città: col tempo stanno riuscendo nell’impresa di rendere il pallone uno sport di massa anche in una città che sembrava immune all’auge del soccer.

    Il Rayo OKC fa invece parte delle tre nuove squadre che si sono da poco aggiunte alla NASL: con loro il Miami FC di Maldini, che come il Rayo OKC ha prende alla spring season 2016, e il Puerto Rico FC, che si aggiungerà a partire dalla competizione autunnale.

    La creazione di una seconda squadra nella capitale dell’Oklahoma ha creato qualche polemica tra i locali. Il calcio maschile ad alti livelli ha sempre stentato a decollare, soprattutto a causa di conflitti societari e amministrativi. I dubbi principali sorgono dal fatto che la città non è grande e che in una fase di start-up del calcio locale è inutile sottrarsi risorse a vicenda. Il Rayo OKC, peraltro, giocherà a circa mezzora di macchina dal centro e difficilmente riuscirà ad essere identificato come squadra della città: punterà sugli abitanti dell’hinterland e soprattutto sui latinos.

    Tra agosto e oggi le anticipazioni sono diventate realtà: il campionato primaverile della NASL è iniziato e il Rayo OKC naviga nella seconda metà della classifica, guidato dal canadese Alen Marcina. Nel frattempo, a Madrid non sono stati di certo a guardare. I Bukaneros, storici ultras che guidano la curva di Vallecas, hanno scritto insieme a numerose peñas un comunicato incandescente. Tifosi di ogni settore, intervistati dalla tv, hanno espresso ironicamente le proprie perplessità. L’hashtag #PresaVeteYa è tornato, per l’ennesima volta, alla ribalta sui social (sul personaggio di Presa ci sarebbero da scrivere pagine e pagine ma, anche in questo caso, non è questa l’occasione). E c’è addirittura chi ha ottenuto le bandiere rivali dell’Energy Oklahoma e le ha esposte fuori dallo stadio di Vallecas.

    Fare arrabbiare il Presidente: lo stai facendo bene.

    Poniamoci una domanda: perché mai il proprietario di uno dei club più modesti della Liga dovrebbe comprare un club negli Stati Uniti? Quella che è stata definita una maniera di portare i valori del Rayo oltreoceano è ovviamente una mera operazione commerciale. Le finalità dietro un’iniziativa del genere possono essere molteplici: sfruttare il mercato di una città in cui il soccer non è ancora maturato, conquistare tifosi/clienti oltreoceano, scoprire nuovi talenti e parcheggiare giocatori da pensionare. Senza dimenticare i piani di Javier Tebas, presidente della LFP, di far sì che anche i club che non sono Barcellona e Real Madrid si espandano nel mondo: non a caso questa estate l’Eibar compirà un tour negli Stati Uniti e l’Espanyol si farà ammirare in Bolivia. I motivi ci sono e hanno poco a che vedere con i valori del Rayo, meno che mai con la sua tifoseria…    

    Ombre cinesi

    L’asse Vallecas-Oklahoma non è il primo accordo internazionale che Martín Presa stringe senza ascoltare chi chiede una maggior concentrazione di energie verso i problemi che il club affronta ogni giorno. Sempre d’estate, ma nel 2014, una notizia aveva turbato non poco l’ambiente rayista: il Rayo avrebbe giocato la stagione con una scritta in cinese sulla maglia. L’impresa di telecomunicazioni Qbao, già proprietaria di un club a Nanchino, aveva scelto Rayo Vallecano e Real Sociedad come avamposti della sua espansione internazionale.

    Peccato che pochi sapessero che l’accordo, oltre a prevedere un’amichevole in Cina tra le due squadre (tristemente ribattezzata “il derby di Qbao”), obbligasse il Rayo ad includere nella propria rosa un giocatore cinese. È così che la scorsa estate Zhang Chengdong, discutibile talento passato anche per le giovanili del Milan, pigramente ribattezzato Dudù (non a Milano, per sua fortuna), è stato accolto come un oggetto misterioso a Vallecas.

    L’imposizione, oltre che delineare una delle infinite forme che l’ingerenza di “chi mette i soldi” può assumere nel mondo del calcio, ha mandato su tutte le furie l’allenatore Paco Jémez. Inutile dire che Chengdong non ha giocato quasi mai e a gennaio è tornato mestamente in Cina, anche se col vanto di essere stato il primo cinese nella storia della Liga.

    Raúl Martín Presa, faccia da presidente che ha stretto un accordo con una multinazionale cinese. Zhang Chengdong, faccia da calciatore soprannominato Dudù. Felipe Miñambres, faccia da ds a cui è stato imposto di comprare un giocatore cinese.

    Può esistere un Rayo americano?  

     Il Rayo Vallecano è al momento una squadra di Segunda Divisiòn spagnola con uno sponsor cinese e una filiale negli Stati Uniti. Nonostante il supposto appeal internazionale, a Vallecas la situazione è destinata a rimanere pressoché uguale: lo stadio seguirà nella sua fatiscenza, il direttore sportivo continuerà a fare mercato prendendo gli scarti di altre società, la cantera e la squadra femminile dovranno ancora cavarsela con pochi spicci, il club continuerà a non avere una pagina Facebook, lo store annesso allo stadio non venderà altro che merce dalla qualità discutibile a prezzi alti.

    E se questo, da un lato, è uno svantaggio, dall’altro il Rayo continuerà ad essere il Rayo anche per la congenita riluttanza del suo ambiente ai mali del calcio moderno. Certo, l’ideale sarebbe distinguere: una società calcistica moderna per una tifoseria d’altri tempi. Sul significato di “società calcistica moderna” potremmo dibattere per ore, ma a Martín Presa basterebbe ascoltare quello che la vox populi vallecana reclama ogni giorno. Perché, come hanno scritto i Bukaneros nel comunicato, difficilmente una squadra negli Stati Uniti attrarrà nuovi bambini e bambine del quartiere al Campo de Fútbol de Vallecas.

    Il Rayo Oklahoma City, per una stagione, è esistito davvero.

    Il titolo di questo paragrafo era una domanda, ma la risposta è ben chiara: non può esistere un surrogato del Rayo Vallecano negli Stati Uniti. O meglio, può esistere certamente una squadra fake costruita copiando tutti gli aspetti esteriori del club di riferimento: maglia nome colori e stemma, come dicevamo. Ciò che non potrà mai accadere è che una squadra costruita artificialmente comunichi gli stessi valori di cui il Rayo è fucina a Madrid. Figuriamoci se questa squadra, che non sarebbe la stessa nemmeno se spostata in un altro quartiere di Madrid, possa conservare la sua identità dall’altra parte dell’oceano. Profanando Neruda: potranno piantare tutti i fiori ma non potranno ricreare la primavera.       

    Pubblicato su Crampi Sportivi nel 2015

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