Su Olé, il più importante giornale sportivo argentino, c’è oggi una mia breve (issima) intervista sulle affinità storiche tra la Roma e il San Lorenzo de Almagro, in vista dell’amichevole di oggi.

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Su Olé, il più importante giornale sportivo argentino, c’è oggi una mia breve (issima) intervista sulle affinità storiche tra la Roma e il San Lorenzo de Almagro, in vista dell’amichevole di oggi.

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Il 3 settembre si giocherà all’Olimpico l’amichevole Roma – San Lorenzo de Almagro. L’occasione è data dalla sosta della Serie A e permetterà agli azulgrana di Buenos Aires di giocare per la prima volta nella città dove risiede il loro tifoso più famoso, Papa Francesco. Il secondo vicepresidente del San Lorenzo, Roberto Álvarez, ha annunciato l’iniziativa lo scorso 12 giugno ai microfoni della trasmissione radio Soy San Lorenzo, condotta dal giornalista Mario Andrés Benigni. Contattato da Gioco Pulito, Álvarez ha descritto così quella che si preannuncia come più di una semplice amichevole:
Confermo che il 3 settembre si giocherà nella capitale italiana l’amichevole Roma-San Lorenzo. Con l’occasione, convocheremo a Roma la riunione delle “peñas” europee del San Lorenzo. Il nostro club sta infatti attraversando una fase di aumento del numero dei soci: in molte città europee ci sono gruppi organizzati di tifosi e questa mi sembra una buona opportunità per riunirli tutti e continuare ad accrescere il numero di soci. Inoltre alcuni sostenitori verranno dall’Argentina e anche noi della dirigenza, incluso il presidente Matías Lammens, accompagneremo la squadra. Arriveremo il 2 settembre e ci alleneremo il giorno stesso, il giorno seguente giocheremo e sarà una partita di grande richiamo.
È una bella coincidenza che il San Lorenzo giochi per la prima volta a Roma proprio nell’anno del Giubileo. Tuttavia, se mi chiedi riguardo la presenza di Papa Francesco alla partita, devo procedere con calma estrema. Non voglio creare aspettativa: noi non siamo i padroni di casa e molto dipende anche dalla Roma, oltre che dalle autorità. Ci deve essere una volontà congiunta. Ripeto, non voglio generare aspettativa.
Se il San Lorenzo giocherà a Roma, lo si deve anche ai ragazzi della Peña RomAzulgrana. Il fondatore Roberto Rizzo, residente a Buenos Aires, racconta così la storia e le attività di questo giovane gruppo di cuervos italiani:
Dal primo incontro che ho avuto coi dirigenti del San Lorenzo, quando vennero a Roma a incontrare il Papa, ho sempre percepito che questa amichevole fosse il loro sogno nel cassetto. Inizialmente si parlava di un triangolare con Roma e Lazio, ma adesso a quanto pare saranno coinvolte solo Roma e San Lorenzo.
La Peña RomAzulgrana è nata dopo il primo viaggio che ho fatto con un amico a Buenos Aires. Entrammo in contatto con la tifoseria del San Lorenzo e con la dirigenza, con la quale abbiamo iniziato a pensare all’idea di creare un gruppo a Roma, vista la grande presenza di sostenitori del San Lorenzo. Io vivo a Buenos Aires e ogni domenica vado allo stadio con altri italiani: cerchiamo di coinvolgerli nell’ambiente. Sono venuti ragazzi della Roma, della Lazio, della Juventus, di Cesena, dalla Sardegna.
L’idea dell’amichevole nasce dal fatto che in Italia c’è grande attenzione verso il San Lorenzo, non solo perché è la squadra del Papa: la sua tifoseria ha ispirato canti di numerose curve, anche della Curva Sud romanista.

Non è dunque la prima volta che si parla di una partita del San Lorenzo a Roma. Nella primavera del 2013 circolò la notizia di un triangolare di beneficenza anche con la Lazio, con lo scopo di raccogliere fondi per i quartieri più poveri di Buenos Aires. Tuttavia, questa è la prima volta che i dirigenti del San Lorenzo non usano il condizionale. Dalla dirigenza della Roma, però, non è trapelata ancora nessuna notizia.
Anche se Álvarez non si sbilancia, il sogno di tanti tifosi argentini è quello di rivedere Jorge Mario Bergoglio allo stadio: da giovane, infatti, il futuro Papa non si perdeva una partita al Viejo Gasómetro, lo storico stadio nel quartiere di Boedo che ora il club vuole ricostruire. Da quando Bergoglio risiede al Vaticano, il San Lorenzo si è ripreso da una grave crisi sportiva ed economica che lo ha visto ad un passo dalla retrocessione, vincendo prima il campionato argentino e poi la prima Copa Libertadores della sua storia. Difficile convincere i tifosi-fedeli che Francisco non c’entra nulla con tutto ciò. I maligni, però, sostengono che il Santo Padre si sia prodigato in miracoli solo per il San Lorenzo, dimenticandosi della selección: un sentimento che probabilmente è aumentato dopo la seconda finale di Copa América persa contro il Cile.

Tuttavia, il senso di appartenenza che lega Bergoglio al San Lorenzo non può essere ridotto solo ad aspetti sportivi. Il club nacque infatti nel 1908 grazie all’idea di un prete salesiano, padre Lorenzo Massa: avrebbe concesso il campo dell’oratorio a un gruppo di ragazzini dediti al calcio di strada, allontanandoli così dal pericoloso passaggio dei tram, in cambio della loro presenza a messa. Nei nomi di quei giovani calciatori, probabilmente ancora ignari della portata storica dei loro gesti, si legge un legame con l’Italia che nasce ben prima del pontificato di Bergoglio: Monti, Scaramusso, Manara, Gianella, Assali, Colazzurdo. Nomi che raccontano le storie di traversate oceaniche dei milioni di italiani emigrati in Argentina.
Inoltre, sin dal giorno della sua fondazione, il San Lorenzo non è stato una semplice squadra di calcio, ma un vero e proprio fulcro sociale e culturale per il quartiere. Il Viejo Gasómetro, costruito nel 1916, disponeva di cinema, biblioteca, teatro, università popolare e strutture per numerose discipline sportive. Uno stadio “aperto 365 giorni l’anno”, come tanto si ricerca oggi, che coinvolgeva quotidianamente il territorio. Non c’è dunque da stupirsi se Papa Francesco, che ha fatto dell’impegno sociale un tratto distintivo del suo pontificato, vada così fiero della sua passione calcistica.
Se la fondazione del Ciclón è legata a doppio filo all’Italia, anche la Roma può annoverare nei suoi annali qualche storia legata al club di Boedo. Dal San Lorenzo proveniva, infatti, Miguel Angel Pantò, campione d’Italia nel 1942 con la maglia giallorossa. Nato a Buenos Aires, giocò tre anni al San Lorenzo, poi alla Roma per sei stagioni tra il 1939 e il 1947. Fu autore di 12 goal nella cavalcata che portò per la prima volta una squadra del centro-sud allo Scudetto.
Relativamente più recente, invece, la storia di Francisco Ramón Lojacono, arrivato alla Roma nel 1960 dalla Fiorentina. I viola lo acquistarono dal San Lorenzo nel 1956 con la partecipazione del Lanerossi Vicenza, prima di cederlo alla Roma nel 1960. Nella capitale giocò 56 partite, segnò 22 reti e vinse la Coppa delle Fiere nel 1961. Dotato di un tiro potentissimo, l’argentino faceva parlare di sé anche per la vita extra-calcistica: la capitale della dolce vita lo catturò nel suo vortice, e non era raro vederlo a via Veneto in compagnia di personaggi dello spettacolo o in qualche casinò a spendere il proprio stipendio. Rimase nella storia un suo goal contro la Juventus: dopo essersi lussato una spalla, rientrò in campo con un braccio legato sotto la maglietta, ma questo non gli impedì di segnare l’1-0 con un missile da fuori area.

Dai fondatori italo-argentini alla passione calcistica di un Papa anch’egli italo-argentino, passando per le storie di due calciatori romanisti, la Peña RomAzulgrana e i cori della Curva Sud ispirati a quelli argentini: tanto basta per dire che quella tra Associazione Sportiva Roma e Club Atlético San Lorenzo de Almagro per alcuni sarà più di una semplice amichevole.
Pubblicato su Gioco Pulito il 30 giugno 2016
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La rincorsa anomala, frontale rispetto al dischetto del rigore. Qualche falcata, una serie di passi fulminei, la frenata oscillante appena prima del tocco e poi… quell’attimo. Quella impercettibile frazione di secondo in cui Nestor Ortigoza capisce se il portiere va di qua, di là o lo aspetta. Quel momento in cui decide se aprire il piatto verso destra o tirare di collo a sinistra. Segue un tiro secco e sicuro, se il portiere ha avuto la fretta di buttarsi, ma è un tiro violento e angolatissimo, se il portiere ha deciso di sfidare el Gordo aspettando che sia lui a fare la prima mossa.
Nestor Ortigoza, mediano del San Lorenzo de Almagro, ritiene di aver trovato la chiave per segnare sempre, o quasi, su calcio di rigore. A dirlo non è lui, ma i suoi numeri: ad aprile 2016 ha segnato 32 su 33 rigori nel calcio professionistico, ma è probabile che a fine carriera la statistica sarà ancora più sconvolgente. La sua percentuale realizzativa è del 97%, con un solo rigore parato dal portiere e nessuno calciato fuori dallo specchio. A interrompere la serie positiva di 19 rigori realizzati è stato nel 2012 Nelson Ibáñez, portiere del Godoy Cruz.
Le ottime doti tecniche del centrocampista argentino naturalizzato paraguaiano non possono bastare a spiegare la sua quasi totale infallibilità dal dischetto. Giocatori che certamente si sono distinti più di lui dal punto di vista della qualità hanno inciso molto meno su rigore. La sua vicenda biografica è certamente una chiave per capire dove Orti trovi la freddezza, l’intuito e la perfezione tecnica per mettere a segno i suoi calci di rigore.
Nestor Ezequiel Ortigoza nasce nel 1984 in una zona povera a ovest di Buenos Aires. Il soprannome con cui lo chiamano oggi i suoi tifosi, el Gordo, racconta di un ragazzo dal viso rotondo e dal fisico certamente robusto. A dispetto dell’anagrafe, sin da piccolo nel suo quartiere tutti lo chiamano Jonatan: è come avrebbero voluto chiamarlo i genitori, ma in quegli anni la recente ferita della guerra delle Isole Malvinas vietava nomi inglesi.
Le condizioni economiche della famiglia Ortigoza non permettono al figlio di dedicarsi al calcio in via esclusiva: dopo gli allenamenti vende quaderni, gelati, scarpe, caramelle e altri beni ai semafori e sui treni. Nonostante ciò, il miglior modo per guadagnare qualche soldo in più è un altro. Lo zio Manuel lo porta di notte a vedere i tornei clandestini di calci di rigore a cui prende parte. Chi gioca vince soldi, chi guarda scommette.
Per più di un anno, Nestor osserva lo zio e gli altri partecipanti calciare migliaia di rigori, durante interminabili tornei a eliminazione che durano dalla sera del venerdì all’alba del sabato. Come tutti i bambini, vuole copiare gli adulti: prende un pallone e passa i pomeriggi a colpire gli alberi per strada. Grazie all’imitazione e all’allenamento precoce e solitario, Nestor sviluppa un piede sopraffino, che gli permette presto di partecipare ai tornei e di portare a casa somme cospicue di denaro.
È qui che perfeziona la strategia con cui realizza i rigori, dai campi in terra alla Primera División. Così la descrive a Canchallena: “Aspetto il portiere fino all’ultimo istante. Se non si muove, tiro forte a un palo. Lo decido sul momento, ma bisogna avere grande coordinazione, perché è difficile cambiare tutto a un passo dal pallone. Ma io ormai sono abituato”.
Sempre in gioventù, Nestor affianca ai tornei di rigori quelli – anch’essi illegali, ma più tradizionali – di calcio a undici, grazie ai quali continua a guadagnare. Con una sua squadra del suo quartiere, la Central del 30, continua a frequentare i campi di terra anche durante le giovanili all’Argentinos Juniors, arrivando a giocarsi anche diecimila pesos a partita: “Una squadra metteva i soldi, lo stesso faceva l’altra. Partecipava alla scommessa anche gente esterna, scommettendo su una delle due squadre e garantendoci una percentuale”, ha descritto a El Gráfico.
Nemmeno dopo lo sbarco in prima squadra si dedica esclusivamente al suo club: per guadagnare di più Ortigoza continua ad arrotondare con i tornei, così come a svolgere il mestiere di venditore ambulante. L’allenatore Ricardo Caruso Lombardi, cosciente della doppia vita sportiva del suo calciatore, così come dei suoi mestieri complementari, intercede presso la dirigenza del club e ottiene per lui un contratto più vantaggioso.
Per le sue origini umili, per il suo carattere anticonformista e irriverente, Ortigoza ha sempre riscosso la simpatia dei tifosi delle squadre per cui gioca. Squadre che, salvo qualche mese in prestito in Argentina e negli Emirati Arabi, sono state solo due: Argentinos Juniors e San Lorenzo. Nemmeno la sua consacrazione definitiva nella squadra di Buenos Aires, che allontana del tutto i problemi economici, riesce a renderlo indifferente al richiamo del potrero. Una parola, intraducibile in italiano, che per un argentino richiama un’irregolare porzione di terreno su cui tra sassi e fango si pratica un gioco con poche regole e sottratto al controllo delle istituzioni. Il potrero è il luogo in cui Ortigoza, come molti campioni argentini, si è formato calcisticamente, riuscendo a mettere in risalto le proprie doti tecniche senza dimenticare l’aspetto fisico. Per una persona così attaccata alle sue origini e alla sua gente è difficile non ascoltarne il richiamo.
A riguardo, un episodio descrive bene il suo carattere. Qualche anno fa alcuni tifosi azulgrana stavano assistendo ad un torneo amatoriale su un campo in terra. È facile immaginare l’entusiasmo che li colse quando, del tutto a sorpresa, videro entrare in campo Ortigoza: un giocatore della massima serie che rischiava le caviglie su un campo non proprio leggero. Ma in fondo, per lui era del tutto normale: “Ero riserva e sapevo che la settimana dopo avrei dovuto giocare. Perciò sono andato a Catán con i miei amici: dovevo riprendere il ritmo!”, ha raccontato sempre a El Gráfico.
Di episodi del genere, nella carriera di Ortigoza, ce ne sono senza fine, senza che l’incedere degli anni abbia contribuito a diminuirli. A settembre 2015 il San Lorenzo stava per giocarsi la vetta della classifica in casa del Boca Juniors, ma il giorno prima la nazionale del Paraguay aveva un’amichevole contro il Cile. Ortigoza si è rifiutato di scegliere: dopo 86 minuti giocati con la albirroja è corso all’aeroporto di Santiago, per arrivare a Buenos Aires alle quattro di mattina. Giusto in tempo per dormire qualche ora e recarsi alla Bombonera, dove a 18 minuti dalla fine è entrato cambiando l’andamento della partita.
Con il San Lorenzo, Ortigoza ha segnato i due goal più importanti della sua carriera. Il primo ha regalato, alla fine del Torneo Clausura 2012, la salvezza al San Lorenzo. Si giocava lo spareggio di ritorno tra i cuervos e l’Instituto, squadra di seconda divisione. Gli ospiti si erano portati sullo 0-1, riducendo al minimo il vantaggio dei padroni di casa, che avevano vinto l’andata 2-0. Ortigoza segnò il goal dell’1-1 trascinando definitivamente il San Lorenzo fuori dall’incubo.
Nel 2014 un altro suo goal ha invece portato al club di Boedo la prima Copa Libertadores della sua storia. Al 36° minuto Ortigoza ha fatto esplodere lo stadio del San Lorenzo, segnando l’unica rete della finale di ritorno contro il paraguaiano Club Nacional, dopo l’andata finita in parità. Grazie al suo goal il San Lorenzo, fondato nel 1904 da un prete per salvare dai tram un gruppo di ragazzini dediti al calcio di strada, ha toccato il punto più alto della propria storia. Non male per un calciatore che fino a qualche anno prima continuava a giocare nei potreros.
Ovviamente, entrambi i goal sono stati su calcio di rigore.
Pubblicato su Gioco Pulito il 5 aprile 2016
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A volte i sogni di una comunità hanno una forza tale che non possono essere fermati né da interessi economici, né da difficoltà apparentemente insormontabili. Lo sanno bene a Buenos Aires, dove i tifosi del San Lorenzo de Almagro hanno passato il più bel Natale della loro vita. Dopo una mobilitazione durata anni, sono riusciti nell’impresa di ricomprare i terreni in cui sorgeva il Viejo Gasómetro, lo storico e amato stadio che si videro sottrarre da poteri legati alla dittatura militare. La ditta Carrefour, incalzata da una “Legge di Restituzione Storica” e da una mobilitazione nazionale, ha accettato l’offerta che riporterà lo storico club argentino nell’unico posto al mondo a cui appartiene, il quartiere di Boedo.
Qui, agli inizi del Novecento, un prete salesiano accolse nell’oratorio della sua parrocchia un gruppo di ragazzi dediti al fútbol di strada, per salvarli dai pericoli dovuti all’aumento di bus e tram in circolazione. Nel 1908 quei ragazzi fondarono il Club Atlético San Lorenzo de Almagro, aiutati dal prete che, non a caso, di nome faceva proprio Lorenzo.
Il quartiere di Boedo è sempre stato il cuore della Buenos Aires rosso-blu e qui, nel 1916, fu inaugurato l’impianto che per 63 anni ha ospitato la squadra. Lo stadio in legno, dipinto con i colori della squadra, divenne subito famoso per l’energia che sprigionava grazie al calore dei tifosi.
Ma il Viejo Gasómetro non era solo uno stadio. Era un punto di riferimento per gli amanti dello sport, grazie alle discipline sviluppate dalla polisportiva, ma anche un vero e proprio centro sociale e culturale per la zona: grazie alla biblioteca, al teatro, al cinema e alle leggendarie celebrazioni del carnevale era il fulcro della vita del quartiere.
Questo perfetto connubio tra stadio, club e territorio era però destinato ad interrompersi bruscamente nel 1979. Alla crisi economica e gestionale del San Lorenzo si aggiunse il torbido comportamento delle autorità cittadine che, facendo gli interessi del regime di Videla, riuscirono a separare il San Lorenzo dal suo stadio. L’intendente Osvaldo Cacciatore, principale carica della città di Buenos Aires, non aveva mai visto di buon occhio una squadra di calcio così impegnata in ambito sociale e culturale.
La società fu così costretta a suon di minacce a vendere i terreni dello stadio a due aziende collegate al regime militare, peraltro ad un prezzo irrisorio. Il club ottenne in regalo il terreno di Bajo Flores, zona estranea alla sua storia, in cui il San Lorenzo disputa ancora gli incontri casalinghi. Gli accordi, se si possono definire tali, comprendevano una clausola che vietava interventi edilizi di tipo commerciale al posto dello stadio. L’anno successivo si manifestarono i reali intenti di chi aveva macchinato l’operazione: il terreno del Viejo Gasómetro fu venduto ad un prezzo otto volte maggiore alla compagnia francese di supermercati Carrefour, senza che vi fosse traccia della clausola. Fu così reciso il cordone ombelicale tra il San Lorenzo e il quartiere di Boedo, relazione scomoda in anni di dittatura militare, e un’operazione speculativa sostituì lo stadio con un enorme supermercato che, ancora oggi, si trova al civico 1700 di Avenida La Plata.
Per più di dieci anni il San Lorenzo fu costretto a girovagare per la città, giocando sempre in trasferta ospite di qualche altro club, finché nel 1993 non si inaugurò l’attuale impianto di Bajo Flores. Ma quello che per lungo tempo rimase un sogno di pochi nostalgici, è diventato nell’ultimo decennio una battaglia concreta e collettiva: la vuelta a Boedo. Ciò è stato possibile grazie a chi, pur senza stadio, ha deciso che lo spirito del Viejo Gasómetro dovesse continuare a vivere nel quartiere. La Subcomisión del Hincha, un’organizzazione di tifosi nata dal basso, opera da anni in difesa della storia e delle tradizioni del club e porta avanti attività culturali e sociali aperte a tutti, nel segno dei colori azulgrana: sport di tutti i tipi, iniziative con le scuole, corsi di sostegno scolastico e la gestione della biblioteca “Osvaldo Soriano”. Non c’è da stupirsi se è stata proprio questa organizzazione il principale motore di tutte le mobilitazioni che hanno portato prima il club, poi le istituzioni locali, a muoversi per raggiungere lo storico accordo sancito il 23 dicembre.
Nel 2012, dopo una stagione di accese proteste, con manifestazioni che toccarono i 100.000 partecipanti, l’organo legislativo dell’area metropolitana di Buenos Aires approvava la Ley de Restitución Histórica, una legge che, riconoscendo il sopruso avvenuto in epoca dittatoriale, obbligava il San Lorenzo e la Carrefour a trovare un accordo economico per la cessione dei terreni, pena l’espropriazione e la cessione al club sportivo. Le vie di Boedo si riempivano di una fiumana di gente colorata di rosso-blu: un’intera comunità iniziava finalmente a vedere la fine dell’esilio.
Una fine che si vedeva, ma che non era neanche così vicina. I tifosi del San Lorenzo vollero subito mettere a tacere i politici che sostenevano l’infattibilità dell’operazione immobiliare per carenza di fondi da parte del club e delle istituzioni locali, decidendo di caricarsi essi stessi dell’onere economico che la vuelta comportava.
Difatti la recente presentazione di un’offerta concreta da parte del club è stata possibile solo grazie ad un’enorme campagna di finanziamento popolare, coordinata dalla Subcomisión del Hincha, che ha permesso ad ogni tifoso di comprare simbolicamente il proprio metro quadrato di stadio. L’iniziativa di crowdfunding, sostenuta da tifosi illustri come Papa Francesco, Viggo Mortensen ed Ezequiel Lavezzi, ha rappresentato il fiore all’occhiello di una mobilitazione che si è distinta per essere pacifica e di massa. Su internet o presso delle sedi fisiche i tifosi, con poche centinaia di euro, hanno potuto pagare l’equivalente di un metro quadrato del terreno, a nome proprio o di chi non c’è più. E per chi non poteva permettersi l’esborso, grazie ai social network è stato possibile contribuire all’acquisto di un metro quadrato con qualsiasi cifra, condividendolo con altri sostenitori.
Grazie a questa imponente iniziativa, il 19 novembre 2015 il San Lorenzo ha potuto finalmente presentare la sua offerta da 94 milioni di pesos per tornare in possesso dell’area. La Carrefour, allo scadere del mese che aveva a disposizione per rispondere, ha chiesto ulteriore tempo. Per tre giorni, dal 18 al 20 dicembre, numerosi supermercati Carrefour di tutta l’Argentina sono stati presidiati da migliaia di tifosi che chiedevano una risposta dovuta per legge.
Il 21 dicembre, il Ministro della Sicurezza ha definito un nuovo ultimatum: se entro le ore 12 del 24 dicembre la multinazionale francese non avesse risposto alla proposta, i terreni sarebbero stati espropriati. Il 23 dicembre 2015, dopo ore di tese riunioni, la Carrefour ha accettato la proposta di 94 milioni di pesos che riporterà in San Lorenzo a giocare a Boedo.
Dopo decenni di esilio, il San Lorenzo tornerà dunque al luogo che lo ha visto nascere. Non è ancora possibile sapere con certezza quando ciò avverrà, ma ciò che è sicuro, e che al momento importa, è che avverrà. Verrebbe da dire che quello ottenuto il 23 dicembre sia il più bel regalo di Natale che i tifosi del San Lorenzo potessero immaginare. Ma i regali si ricevono. I terreni del Viejo Gasómetro, invece, sono frutto di una battaglia civile durata anni, terminata con un acquisto che, dal punto di vista storico ed etico, non era nemmeno dovuto. Ma, se questo era il prezzo da pagare per mettere a tacere chi vedeva irrealizzabile l’operazione per mancanza di fondi, allora è giusto, come dice un coro che tutti i tifosi del San Lorenzo conoscono, che la vuelta a Boedo la porti avanti la gente.
Pubblicato su Gioco Pulito il 3 gennaio 2016
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