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Tag: America Latina

  • Dale Boca, belìn: il club più prestigioso d’America, fondato su una panchina dai genovesi

    Le origini del Boca Juniors

    Buenos Aires, 3 aprile 1905. Un gruppo di adolescenti di origine italiana, abitanti del quartiere della Boca, fonda il Boca Juniors. Stimolati dal professore di educazione fisica, la combriccola si reca a casa di uno di loro, Esteban Baglietto, per dar vita a un club di calcio: qualcosa di abbastanza normale se consideriamo che nel 1907 erano stati fondati in Argentina circa 300 club calcistici. Per il chiasso provocato i giovani vengono cacciati di casa e si sistemano nella vicina Plaza Solís, dove su una panchina, scartato il nome Hijos de Italia,fondano il Boca Juniors. Boca, in onore del loro quartiere di appartenenza, e Juniors, perché l’inglese dà sempre un tocco di prestigio, soprattutto se accostato al nome di un quartiere al tempo considerato poco raccomandabile. Baglietto, presidente minorenne, non immaginava che il club fondato con gli amici di prestigio ne avrebbe guadagnato a dismisura, fino a divenire uno dei più titolati al mondo e l’unico a non retrocedere mai dalla Primera División argentina.

    Per i primi anni il Boca indossa divise dai colori altalenanti, finché nel 1907 viene adottata la colorazione azul y oro. Secondo la leggenda, non riuscendo a mettersi d’accordo sui colori da adottare, il gruppo di ragazzi si affida al fato: vanno al porto di Buenos Aires e attendono il passaggio della prima imbarcazione. La prima a passare è una barca che batte bandiera svedese. Secondo la storiografia riconosciuta dal club, invece, è Juan Bricchetto, al tempo operaio portuale, ad avvistare l’imbarcazione scandinava e a proporre l’idea agli altri. Il club adotta inizialmente una maglietta con fascia diagonale gialla su sfondo blu, poi trasformata in banda orizzontale, probabilmente per motivi logistici legati alla cucitura.

    Sembra Genova

    Baglietto, Scarpatti, Sana, Farenga, Movio… La Boca era un quartiere portuale di immigrati italiani in maggioranza genovesi, così diverso dal resto dalla città che al tempo gli altri abitanti di Buenos Aires lo consideravano quasi un’entità a parte. Nel 1882 alcuni suoi abitanti proclamarono l’indipendenza dal resto dell’Argentina: issarono una bandiera genovese e scrissero al re Umberto I chiedendo il riconoscimento della Repùblica Independiente de la Boca.  

    Povera e culturalmente vivace, con le sue caratteristiche casette colorate coperte da chapas de zinc, la Boca era popolata da operai portuali, marinai, prostitute, pittori, poeti, pizzaioli, socialisti, anarchici, garibaldini e compositori di tango. Non ci saremmo stupiti a vedervi anche una Via del Campo.

    Conseguenza diretta della prevalenza di immigrati genovesi, anche tra i fondatori del club, è che dai primi decenni del Novecento ad oggi il tifoso del Boca è sempre stato chiamato Xeneize, che significa semplicemente “genovese” in dialetto genovese. Visitando il sito ufficiale del Boca, si può constatare che è tradotto in sole quattro lingue: spagnolo, inglese, italiano e genovese. Ma la continuità con la cultura ligure non si limita alla lingua: ancor oggi passeggiando per le vie del quartiere si può assaggiare la fugaza, tipica focaccia genovese, o la fainà, la farinata di ceci.

    Il pizzaiolo del Boca

    Nessuno si stupisca, dunque, se tra i simboli del Boca figura anche un simpatico pizzaiolo, stereotipo dell’immigrato italiano della prima metà del Novecento. Il suo nome è Pedrín el fainero e non differisce molto dai pizzaioli che popolano i nostri cartoni della pizza, non fosse per la maglietta azul y oro che indossa con orgoglio. La nascita di questa mascotte è curiosa: tra il 1940 e il 1952 andò in onda una popolare trasmissione di radio-teatro chiamata Gran Pensión El Campeonato, che veniva trasmessa la domenica e introduceva ogni giornata di Primera División. I protagonisti erano gli ospiti di una pensione, ognuno rappresentante di un club della massima serie argentina, in lotta fra loro per conquistare il cuore della padrona di casa, Miss Campeonato. La storia volle che il primo anno di trasmissione coincise con la vittoria del Boca in campionato: Pedrínguadagnò una popolarità tale che al centro della Bombonera fu inscenato un matrimonio tra i due personaggi.

    Due rappresentazioni di Pedrin, il pizzaiolo del Boca

    Genova e Boca, un legame indissolubile

    Ancor oggi il legame tra Genova e la Boca è forte: nel quartiere, nonostante i grandi cambiamenti sociali, c’è ancora qualche anziano che continua a parlare genovese. Ma, al di là della lingua, tutti si riconoscono almeno in parte di sangue italiano. Anche a livello calcistico non sono mancate dimostrazioni d’affetto transoceaniche. Nel 1969-70 un gruppo di tifosi doriani assunse il nome di Ultras Tito Cucchiaroni, giocatore italo-argentino che tra gli anni Cinquanta e Sessanta militò nel Boca Juniors e nella Sampdoria. Negli anni Novanta, poi, i vertici della federazione delle peñas del Boca vollero entrare in contatto con il club doriano e i suoi tifosi: ne risultò la nascita del “Sampdoria Club Buenos Aires”. Negli anni Duemila anche i genoani hanno sancito un legame ufficiale, con la nascita del “Genoa Club La Boca”, per raccogliere i tifosi genoani della capitale argentina: è bene ricordare, infatti, che quando fu fondato il club azul y oro a Genova esisteva solo il Genoa. Infine, impossibile ignorare il triangolo che lega Genova, Napoli e Buenos Aires. Complici il gemellaggio più che trentennale tra rossoblù e partenopei, il carattere marinero delle tre città e, ovviamente, una persona chiamata Diego Armando.

    Chiedetelo a Pedrín il pizzaiolo.

    Pubblicato su Gioco Pulito il 10 agosto 2016

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  • “El Gordo” Ortigoza, dai tornei clandestini alla Copa Libertadores

    La rincorsa anomala, frontale rispetto al dischetto del rigore. Qualche falcata, una serie di passi fulminei, la frenata oscillante appena prima del tocco e poi… quell’attimo. Quella impercettibile frazione di secondo in cui Nestor Ortigoza capisce se il portiere va di qua, di là o lo aspetta. Quel momento in cui decide se aprire il piatto verso destra o tirare di collo a sinistra. Segue un tiro secco e sicuro, se il portiere ha avuto la fretta di buttarsi, ma è un tiro violento e angolatissimo, se il portiere ha deciso di sfidare el Gordo aspettando che sia lui a fare la prima mossa.

    Nestor Ortigoza, mediano del San Lorenzo de Almagro, ritiene di aver trovato la chiave per segnare sempre, o quasi, su calcio di rigore. A dirlo non è lui, ma i suoi numeri: ad aprile 2016 ha segnato 32 su 33 rigori nel calcio professionistico, ma è probabile che a fine carriera la statistica sarà ancora più sconvolgente. La sua percentuale realizzativa è del 97%, con un solo rigore parato dal portiere e nessuno calciato fuori dallo specchio. A interrompere la serie positiva di 19 rigori realizzati è stato nel 2012 Nelson Ibáñez, portiere del Godoy Cruz.
    Le ottime doti tecniche del centrocampista argentino naturalizzato paraguaiano non possono bastare a spiegare la sua quasi totale infallibilità dal dischetto. Giocatori che certamente si sono distinti più di lui dal punto di vista della qualità hanno inciso molto meno su rigore. La sua vicenda biografica è certamente una chiave per capire dove Orti trovi la freddezza, l’intuito e la perfezione tecnica per mettere a segno i suoi calci di rigore.

    Nestor Ezequiel Ortigoza nasce nel 1984 in una zona povera a ovest di Buenos Aires. Il soprannome con cui lo chiamano oggi i suoi tifosi, el Gordo, racconta di un ragazzo dal viso rotondo e dal fisico certamente robusto. A dispetto dell’anagrafe, sin da piccolo nel suo quartiere tutti lo chiamano Jonatan: è come avrebbero voluto chiamarlo i genitori, ma in quegli anni la recente ferita della guerra delle Isole Malvinas vietava nomi inglesi.

    Le condizioni economiche della famiglia Ortigoza non permettono al figlio di dedicarsi al calcio in via esclusiva: dopo gli allenamenti vende quaderni, gelati, scarpe, caramelle e altri beni ai semafori e sui treni. Nonostante ciò, il miglior modo per guadagnare qualche soldo in più è un altro. Lo zio Manuel lo porta di notte a vedere i tornei clandestini di calci di rigore a cui prende parte. Chi gioca vince soldi, chi guarda scommette.

    Per più di un anno, Nestor osserva lo zio e gli altri partecipanti calciare migliaia di rigori, durante interminabili tornei a eliminazione che durano dalla sera del venerdì all’alba del sabato. Come tutti i bambini, vuole copiare gli adulti: prende un pallone e passa i pomeriggi a colpire gli alberi per strada. Grazie all’imitazione e all’allenamento precoce e solitario, Nestor sviluppa un piede sopraffino, che gli permette presto di partecipare ai tornei e di portare a casa somme cospicue di denaro.

    È qui che perfeziona la strategia con cui realizza i rigori, dai campi in terra alla Primera División. Così la descrive a Canchallena: “Aspetto il portiere fino all’ultimo istante. Se non si muove, tiro forte a un palo. Lo decido sul momento, ma bisogna avere grande coordinazione, perché è difficile cambiare tutto a un passo dal pallone. Ma io ormai sono abituato”.

    Sempre in gioventù, Nestor affianca ai tornei di rigori quelli – anch’essi illegali, ma più tradizionali – di calcio a undici, grazie ai quali continua a guadagnare. Con una sua squadra del suo quartiere, la Central del 30, continua a frequentare i campi di terra anche durante le giovanili all’Argentinos Juniors, arrivando a giocarsi anche diecimila pesos a partita: “Una squadra metteva i soldi, lo stesso faceva l’altra. Partecipava alla scommessa anche gente esterna, scommettendo su una delle due squadre e garantendoci una percentuale”, ha descritto a El Gráfico.

    Nemmeno dopo lo sbarco in prima squadra si dedica esclusivamente al suo club: per guadagnare di più Ortigoza continua ad arrotondare con i tornei, così come a svolgere il mestiere di venditore ambulante. L’allenatore Ricardo Caruso Lombardi, cosciente della doppia vita sportiva del suo calciatore, così come dei suoi mestieri complementari, intercede presso la dirigenza del club e ottiene per lui un contratto più vantaggioso.

    Per le sue origini umili, per il suo carattere anticonformista e irriverente, Ortigoza ha sempre riscosso la simpatia dei tifosi delle squadre per cui gioca. Squadre che, salvo qualche mese in prestito in Argentina e negli Emirati Arabi, sono state solo due: Argentinos Juniors e San Lorenzo. Nemmeno la sua consacrazione definitiva nella squadra di Buenos Aires, che allontana del tutto i problemi economici, riesce a renderlo indifferente al richiamo del potrero. Una parola, intraducibile in italiano, che per un argentino richiama un’irregolare porzione di terreno su cui tra sassi e fango si pratica un gioco con poche regole e sottratto al controllo delle istituzioni. Il potrero è il luogo in cui Ortigoza, come molti campioni argentini, si è formato calcisticamente, riuscendo a mettere in risalto le proprie doti tecniche senza dimenticare l’aspetto fisico. Per una persona così attaccata alle sue origini e alla sua gente è difficile non ascoltarne il richiamo.

    A riguardo, un episodio descrive bene il suo carattere. Qualche anno fa alcuni tifosi azulgrana stavano assistendo ad un torneo amatoriale su un campo in terra.  È facile immaginare l’entusiasmo che li colse quando, del tutto a sorpresa, videro entrare in campo Ortigoza: un giocatore della massima serie che rischiava le caviglie su un campo non proprio leggero. Ma in fondo, per lui era del tutto normale: “Ero riserva e sapevo che la settimana dopo avrei dovuto giocare. Perciò sono andato a Catán con i miei amici: dovevo riprendere il ritmo!”, ha raccontato sempre a El Gráfico.

    Di episodi del genere, nella carriera di Ortigoza, ce ne sono senza fine, senza che l’incedere degli anni abbia contribuito a diminuirli. A settembre 2015 il San Lorenzo stava per giocarsi la vetta della classifica in casa del Boca Juniors, ma il giorno prima la nazionale del Paraguay aveva un’amichevole contro il Cile. Ortigoza si è rifiutato di scegliere: dopo 86 minuti giocati con la albirroja è corso all’aeroporto di Santiago, per arrivare a Buenos Aires alle quattro di mattina. Giusto in tempo per dormire qualche ora e recarsi alla Bombonera, dove a 18 minuti dalla fine è entrato cambiando l’andamento della partita.

    Con il San Lorenzo, Ortigoza ha segnato i due goal più importanti della sua carriera. Il primo ha regalato, alla fine del Torneo Clausura 2012, la salvezza al San Lorenzo. Si giocava lo spareggio di ritorno tra i cuervos e l’Instituto, squadra di seconda divisione. Gli ospiti si erano portati sullo 0-1, riducendo al minimo il vantaggio dei padroni di casa, che avevano vinto l’andata 2-0. Ortigoza segnò il goal dell’1-1 trascinando definitivamente il San Lorenzo fuori dall’incubo.

    Nel 2014 un altro suo goal ha invece portato al club di Boedo la prima Copa Libertadores della sua storia. Al 36° minuto Ortigoza ha fatto esplodere lo stadio del San Lorenzo, segnando l’unica rete della finale di ritorno contro il paraguaiano Club Nacional, dopo l’andata finita in parità. Grazie al suo goal il San Lorenzo, fondato nel 1904 da un prete per salvare dai tram un gruppo di ragazzini dediti al calcio di strada, ha toccato il punto più alto della propria storia. Non male per un calciatore che fino a qualche anno prima continuava a giocare nei potreros.

    Ovviamente, entrambi i goal sono stati su calcio di rigore.

    Pubblicato su Gioco Pulito il 5 aprile 2016

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  • Copa América: gli Stati Uniti alla conquista del Fútbol

    La Copa América compie un secolo. E non importa che si sia giocata la scorsa estate in Cile, con la prima storica vittoria del paese ospitante. A giugno si svolgerà negli Stati Uniti la Copa América Centenario, prima edizione del campionato continentale più antico del mondo a tenersi fuori dal territorio sudamericano. Il torneo è come sempre organizzato dalle confederazione sudamericana CONMEBOL, che si avvarrà della collaborazione di quella dell’America centro-settentrionale e dei Caraibi, la CONCACAF, e della federazione del paese ospitante, la U.S. Soccer.

    I quattro gironi vedranno affrontarsi tutte le dieci squadre della confederazione sudamericana e sei rappresentative provenienti dal resto delle Americhe. La partita inaugurale sarà USA-Colombia e si svolgerà il 3 giugno al Levi’s Stadium a Santa Clara, in California, nell’impianto che ha ospitato anche il Super Bowl 50. La quarantacinquesima Copa América si configurerà come un vero e proprio torneo panamericano, nonché come il più importante evento calcistico negli Stati Uniti da USA 1994.

    Sono dieci gli stadi che accoglieranno le selezioni americane in tutto il territorio statunitense. New York ospiterà la finale nell’imponente MetLife Stadium, sede delle due squadre di football americano New York Giants e New York Jets. Tutti gli impianti selezionati hanno almeno 60.000 posti e sono situati in zone dalla forte concentrazione di popolazione latinoamericana: una scelta ovviamente non casuale.

    L’ex presidente della CONCACAF Alfredo Hawit, arrestato a dicembre 2015 nell’ambito degli scandali che hanno scosso la FIFA, nel 2012 aveva commentato così la decisione di svolgere il torneo negli Stati Uniti: “Perché il mercato è negli Stati Uniti, gli stadi sono negli Stati Uniti, la gente sta negli Stati Uniti”.

    Mercato, stadi, gente. Queste sembrerebbero essere le tre chiavi che hanno portato la CONMEBOL alla decisione di proporre la Copa América 2016 in versione a stelle e strisce. Mercato, perché un evento di questa portata nel paese del dollaro significa enorme attenzione internazionale e diritti tv ben pagati. Stadi, perché gli impianti che ospitano il football della NFL e il soccer della MLS sono tra i più moderni e capienti del continente. Gente, perché centinaia di migliaia di latinos non vedono l’ora riempire proprio quegli stadi senza doversi neanche spostare.

    I biglietti sono già in vendita, nonostante le polemiche. Il comitato organizzativo del torneo ha per ora messo in vendita solo i venue pass, ovvero i biglietti cumulativi che permettono l’accesso a tutte le partite previste in uno dei dieci stadi. I biglietti singoli usciranno solo se gli stadi non dovessero andare sold-out con i pass: una strategia mossa dall’esigenza di riempire gli enormi impianti anche per partite dal basso appeal. I prezzi, tra l’altro, non sono proprio popolari: come riporta Forbes, il costo medio di un venue pass è di 888 dollari. Con buona pace di chi, residente negli USA o all’estero, vorrebbe assistere ad una sola partita.

    Secondo il messicano La Aficiòn, gli organizzatori stimano di ottenere 120-180 milioni di dollari in biglietti e almeno altri 100 tra sponsor e diritti TV, per un totale di circa 300 milioni di dollari di ricavi. Numeri che permetterebbero all’edizione 2016 di raddoppiare i ricavi rispetto a Cile 2015, che portò circa 115 milioni di dollari nelle tasche della CONMEBOL.

    Insomma, non male per un’edizione nemmeno prevista dall’incedere quadriennale della competizione. D’altronde c’è un centenario da festeggiare, ma soprattutto c’è un particolare do ut des tra le confederazioni che vogliono battere cassa e una nazione che nei prossimi decenni punterà a conquistare anche il mondo del calcio. E cosa c’è di meglio che importare un prestigioso torneo continentale per mettere in mostra la propria nazionale maschile, che ottiene visibilità internazionale solo una volta ogni quattro anni col Mondiale?

    Al momento, non avendo da offrire grandi talenti o campionati granché avvincenti, gli Stati Uniti offrono al mondo del calcio ciò che hanno, e di certo non è poco: mercato, stadi e gente. Che siano gli ultimi inverni di un campione, tournée estive di grandi club o campionati continentali, le porte sono aperte.

    Nonostante adesso sembri tutto avviato, la coppia calcio sudamericano & mercato statunitense ha rischiato di scoppiare. Sarebbe stato difficile il contrario, quando l’intelligence statunitense fece venire allo scoperto la fitta trama di corruzione che per decenni avrebbe condizionato l’assegnazione di Mondiali, diritti TV e accordi di marketing legati alle competizioni.

    Quel 27 maggio 2015, nella retata presso l’Hotel Baur au Lac di Zurigo che sconvolse il calcio mondiale, finirono in manette anche Jeffrey Webb ed Eugenio Figueredo, i presidenti di CONCACAF e CONMEBOL. Esattamente le uniche due persone sedute al tavolo dei relatori durante la conferenza stampa di presentazione della Copa América Centenario. Non una bella immagine per la reputazione del torneo.

    Al centro dello scandalo finirono anche degli imprenditori: in particolare furono indagati gli argentini Alejandro Burzaco, CEO della “Torneos y Competencias”, e Hugo e Mariano Jinkis,a capo della “Full Play Group”. Le due società erano parte del gruppo Datisa, che con 320 milioni di dollari si era assicurato sponsorizzazione e diritti TV per le Copa América 2015, 2016, 2019 e 2023.

    Come riporta Inside World Football, l’FBI rilevò che Datisa, per aggiudicarsi i diritti, aveva acconsentito a pagare 110 milioni di dollari in tangenti a Webb, Figueredo e altri dirigenti FIFA. Nel dettaglio, sarebbero state pagate mazzette pari a 20 milioni per la firma del contratto, 30 milioni per l’edizione del centenario e 20 milioni per ognuna delle edizioni canoniche.

    La tabella a pagina 112 del documento d’accusa dell’FBI, che sintetizza tangenti e contratti relativi ad ogni edizione della Copa América

    Traducendo da pagina 105 del documento d’accusa diffuso dall’FBI, “ogni pagamento da 20 milioni andava suddiviso tra i destinatari delle tangenti come segue: 3 milioni a ognuno dei tre principali dirigenti della CONMEBOL (il presidente della confederazione e i presidenti delle federazioni argentina e brasiliana); 1.5 milioni a ognuno degli altri sette presidenti delle federazioni della CONMEBOL; 0,5 milioni a un undicesimo dirigente della CONMEBOL”.

    Non c’è dunque da stupirsi se in estate la U.S. Soccer presentò un documento segreto contenente una lista di condizioni alle quali la CONMEBOL avrebbe dovuto attenersi, se avesse voluto mantenere la possibilità di svolgere la Copa América negli Stati Uniti.

    Nel frattempo, i media statunitensi si chiedevano se non fosse il caso di rinunciare ad ospitare la competizione. Dopo l’emergere dello scandalo FIFA, nessuno poteva dire con certezza se la Copa América 2016 si sarebbe svolta negli Stati Uniti. A metà ottobre, poi, la mossa che rassicurò tutti: la CONMEBOL comunicava ufficialmente che il contratto con Datisa era stato rescisso bilateralmente. The show can go on.

    La Copa América Centenario si svolgerà dunque negli Stati Uniti dal 3 al 26 giugno 2016. Non è stata fermata né dal terremoto che ha sconvolto la FIFA, né dalla naturale diffidenza dei sudamericani nel disputare il loro torneo continentale in territorio yankee. I gironi sono usciti da poco e vedranno gli Stati Uniti impegnati in quello che è già stato definito “gruppo della morte” con Colombia, Costa Rica e Paraguay, mentre il duello con cui ci eravamo lasciati, quello tra Cile e Argentina, si riproporrà sin da subito nel girone D.

    Per i calciofili, la notizia è che a giugno che ci saranno sedici giorni di Europeo e Copa América in contemporanea. Se non avremo un atteggiamento troppo eurocentrico, potremo ogni tanto volgere lo sguardo all’altro lato del mondo, per accorgerci che con la prima vera coppa panamericana è iniziata una nuova era del calcio. Che tutto sarà, meno che eurocentrica.

    Pubblicato su Gioco Pulito il 22 febbraio 2016

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  • In Argentina i tifosi riportano il San Lorenzo a Boedo

    A volte i sogni di una comunità hanno una forza tale che non possono essere fermati né da interessi economici, né da difficoltà apparentemente insormontabili. Lo sanno bene a Buenos Aires, dove i tifosi del San Lorenzo de Almagro hanno passato il più bel Natale della loro vita. Dopo una mobilitazione durata anni, sono riusciti nell’impresa di ricomprare i terreni in cui sorgeva il Viejo Gasómetro, lo storico e amato stadio che si videro sottrarre da poteri legati alla dittatura militare. La ditta Carrefour, incalzata da una “Legge di Restituzione Storica” e da una mobilitazione nazionale, ha accettato l’offerta che riporterà lo storico club argentino nell’unico posto al mondo a cui appartiene, il quartiere di Boedo.

    Qui, agli inizi del Novecento, un prete salesiano accolse nell’oratorio della sua parrocchia un gruppo di ragazzi dediti al fútbol di strada, per salvarli dai pericoli dovuti all’aumento di bus e tram in circolazione. Nel 1908 quei ragazzi fondarono il Club Atlético San Lorenzo de Almagro, aiutati dal prete che, non a caso, di nome faceva proprio Lorenzo.

    Il quartiere di Boedo è sempre stato il cuore della Buenos Aires rosso-blu e qui, nel 1916, fu inaugurato l’impianto che per 63 anni ha ospitato la squadra. Lo stadio in legno, dipinto con i colori della squadra, divenne subito famoso per l’energia che sprigionava grazie al calore dei tifosi.

    Ma il Viejo Gasómetro non era solo uno stadio. Era un punto di riferimento per gli amanti dello sport, grazie alle discipline sviluppate dalla polisportiva, ma anche un vero e proprio centro sociale e culturale per la zona: grazie alla biblioteca, al teatro, al cinema e alle leggendarie celebrazioni del carnevale era il fulcro della vita del quartiere.

    Questo perfetto connubio tra stadio, club e territorio era però destinato ad interrompersi bruscamente nel 1979. Alla crisi economica e gestionale del San Lorenzo si aggiunse il torbido comportamento delle autorità cittadine che, facendo gli interessi del regime di Videla, riuscirono a separare il San Lorenzo dal suo stadio. L’intendente Osvaldo Cacciatore, principale carica della città di Buenos Aires, non aveva mai visto di buon occhio una squadra di calcio così impegnata in ambito sociale e culturale.

    La società fu così costretta a suon di minacce a vendere i terreni dello stadio a due aziende collegate al regime militare, peraltro ad un prezzo irrisorio. Il club ottenne in regalo il terreno di Bajo Flores, zona estranea alla sua storia, in cui il San Lorenzo disputa ancora gli incontri casalinghi. Gli accordi, se si possono definire tali, comprendevano una clausola che vietava interventi edilizi di tipo commerciale al posto dello stadio. L’anno successivo si manifestarono i reali intenti di chi aveva macchinato l’operazione: il terreno del Viejo Gasómetro fu venduto ad un prezzo otto volte maggiore alla compagnia francese di supermercati Carrefour, senza che vi fosse traccia della clausola. Fu così reciso il cordone ombelicale tra il San Lorenzo e il quartiere di Boedo, relazione scomoda in anni di dittatura militare, e un’operazione speculativa sostituì lo stadio con un enorme supermercato che, ancora oggi, si trova al civico 1700 di Avenida La Plata.

    Per più di dieci anni il San Lorenzo fu costretto a girovagare per la città, giocando sempre in trasferta ospite di qualche altro club, finché nel 1993 non si inaugurò l’attuale impianto di Bajo Flores. Ma quello che per lungo tempo rimase un sogno di pochi nostalgici, è diventato nell’ultimo decennio una battaglia concreta e collettiva: la vuelta a Boedo. Ciò è stato possibile grazie a chi, pur senza stadio, ha deciso che lo spirito del Viejo Gasómetro dovesse continuare a vivere nel quartiere. La Subcomisión del Hincha, un’organizzazione di tifosi nata dal basso, opera da anni in difesa della storia e delle tradizioni del club e porta avanti attività culturali e sociali aperte a tutti, nel segno dei colori azulgrana: sport di tutti i tipi, iniziative con le scuole, corsi di sostegno scolastico e la gestione della biblioteca “Osvaldo Soriano”. Non c’è da stupirsi se è stata proprio questa organizzazione il principale motore di tutte le mobilitazioni che hanno portato prima il club, poi le istituzioni locali, a muoversi per raggiungere lo storico accordo sancito il 23 dicembre.

    Nel 2012, dopo una stagione di accese proteste, con manifestazioni che toccarono i 100.000 partecipanti, l’organo legislativo dell’area metropolitana di Buenos Aires approvava la Ley de Restitución Histórica, una legge che, riconoscendo il sopruso avvenuto in epoca dittatoriale, obbligava il San Lorenzo e la Carrefour a trovare un accordo economico per la cessione dei terreni, pena l’espropriazione e la cessione al club sportivo. Le vie di Boedo si riempivano di una fiumana di gente colorata di rosso-blu: un’intera comunità iniziava finalmente a vedere la fine dell’esilio.

    Una fine che si vedeva, ma che non era neanche così vicina. I tifosi del San Lorenzo vollero subito mettere a tacere i politici che sostenevano l’infattibilità dell’operazione immobiliare per carenza di fondi da parte del club e delle istituzioni locali, decidendo di caricarsi essi stessi dell’onere economico che la vuelta comportava.

    Difatti la recente presentazione di un’offerta concreta da parte del club è stata possibile solo grazie ad un’enorme campagna di finanziamento popolare, coordinata dalla Subcomisión del Hincha, che ha permesso ad ogni tifoso di comprare simbolicamente il proprio metro quadrato di stadio. L’iniziativa di crowdfunding, sostenuta da tifosi illustri come Papa Francesco, Viggo Mortensen ed Ezequiel Lavezzi, ha rappresentato il fiore all’occhiello di una mobilitazione che si è distinta per essere pacifica e di massa. Su internet o presso delle sedi fisiche i tifosi, con poche centinaia di euro, hanno potuto pagare l’equivalente di un metro quadrato del terreno, a nome proprio o di chi non c’è più. E per chi non poteva permettersi l’esborso, grazie ai social network è stato possibile contribuire all’acquisto di un metro quadrato con qualsiasi cifra, condividendolo con altri sostenitori.

    Grazie a questa imponente iniziativa, il 19 novembre 2015 il San Lorenzo ha potuto finalmente presentare la sua offerta da 94 milioni di pesos per tornare in possesso dell’area. La Carrefour, allo scadere del mese che aveva a disposizione per rispondere, ha chiesto ulteriore tempo. Per tre giorni, dal 18 al 20 dicembre, numerosi supermercati Carrefour di tutta l’Argentina sono stati presidiati da migliaia di tifosi che chiedevano una risposta dovuta per legge.

    Il 21 dicembre, il Ministro della Sicurezza ha definito un nuovo ultimatum: se entro le ore 12 del 24 dicembre la multinazionale francese non avesse risposto alla proposta, i terreni sarebbero stati espropriati. Il 23 dicembre 2015, dopo ore di tese riunioni, la Carrefour ha accettato la proposta di 94 milioni di pesos che riporterà in San Lorenzo a giocare a Boedo.

    Dopo decenni di esilio, il San Lorenzo tornerà dunque al luogo che lo ha visto nascere. Non è ancora possibile sapere con certezza quando ciò avverrà, ma ciò che è sicuro, e che al momento importa, è che avverrà. Verrebbe da dire che quello ottenuto il 23 dicembre sia il più bel regalo di Natale che i tifosi del San Lorenzo potessero immaginare. Ma i regali si ricevono. I terreni del Viejo Gasómetro, invece, sono frutto di una battaglia civile durata anni, terminata con un acquisto che, dal punto di vista storico ed etico, non era nemmeno dovuto. Ma, se questo era il prezzo da pagare per mettere a tacere chi vedeva irrealizzabile l’operazione per mancanza di fondi, allora è giusto, come dice un coro che tutti i tifosi del San Lorenzo conoscono, che la vuelta a Boedo la porti avanti la gente.

    Pubblicato su Gioco Pulito il 3 gennaio 2016

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