Archive

Tag: gioco pulito

  • Socrates alla Roma: sogno di una notte di mezza estate

    Socrates in giallorosso. Forse una semplice suggestione giornalistica, al limite del provocatorio. Forse qualcosa di più concreto, magari nella testa del campione brasiliano, sicuramente meno nei piani della dirigenza giallorossa, che poche settimane dopo avrebbe portato a Roma Paulo Roberto Falcão. Tutto ciò su cui possiamo basarci, almeno per il momento, sono due pagine del Guerin Sportivo del 2 luglio 1980.

    In quei giorni si cerca di dimenticare il deludente campionato europeo ospitato dall’Italia, anche grazie al calciomercato che torna al centro dell’attenzione. Quell’estate, peraltro, il tema è più caldo degli anni precedenti: le frontiere calcistiche sono state infatti riaperte e ogni club può ingaggiare uno straniero.

    Sono trascorsi quasi quindici anni dal Mondiale del 1966, quando dopo l’onta di di Italia-Corea si puntò il dito contro i troppi stranieri che – si diceva – soffocavano la crescita di talenti italiani. Nell’estate del 1980, oltre al già citato Falcão, arrivarono Prohaska all’Inter, Liam Brady alla Juventus, Juary all’Avellino e Krol al Napoli.

    Al Guerino si divertirono a raggiungere quello che sarà il capitano della nazionale verdeoro a Spagna’82 e a Messico ’86. È l’inviato Gerardo Landulfo che in Brasile incontra Socrates, “grande rivelazione del 1979”, dando spazio ai suoi pensieri su un eventuale trasferimento in Italia: “Là, fra l’altro, potrei frequentare un corso di perfezionamento in ortopedia tanto per migliorare le mie cognizioni ed esperienze mediche”, commenta il Dottore.

    Ma se il calciatore non si spinge oltre i “forse”, è invece il Guerin a scatenare un putiferio sulla stampa brasiliana: l’inviato porge a Socrates la maglia della Roma e il brasiliano si lascia fotografare con la celebre divisa a fasce firmata da Piero Gratton. “Socrates sta lasciando il Corinthians”, “Socrates già veste la maglia della Roma”, scrivono alcuni giornali locali, come riporta lo stesso Guerin.

    In fondo, anche se probabilmente non vi fu nulla di concreto, la notizia non dovette risultare così inverosimile: basti pensare che la Roma, poco dopo, comprò davvero un brasiliano dalla classe inimitabile, ma si chiamava Falcão. E non è un caso che Socrates, qualche anno dopo, in Italia ci andò davvero, ma alla Fiorentina. E stavolta non per studiare ortopedia, ma per “per leggere Gramsci in lingua originale e studiare la storia del movimento operaio”.

    Risultato immagini per socrates alla roma mezza estate

    Di solito, ricordando grandi colpi di mercato non realizzati, si pratica l’esercizio mentale delle cosiddette sliding doors. Verrebbe dunque da chiedersi come sarebbero stati i primi anni Ottanta con un Socrates in giallorosso e un Falcão lontano da Roma. Ma in questo caso è opportuno notare che il destino ha probabilmente preso la strada migliore, senza lasciar spazio a rimpianti.

    Difficilmente, infatti, qualcuno avrebbe potuto eguagliare lo slancio che l’ottavo re di Roma seppe dare al romanismo: quella mentalità vincente che tanto manca a una squadra troppo modesta al cospetto della storia della sua città.

    Allo stesso tempo, se quell’anno Socrates fosse venuto in Italia non si sarebbe forse scritta una delle pagine più belle della storia del calcio. Nei primi anni Ottanta il dottore fu infatti protagonista della tanto utopica quanto reale stagione della Democracia Corinthiana: il suo club, il Corinthians, dimostrò al Brasile oppresso dalla dittatura che ribellarsi era possibile e doveroso.

    Grazie anche all’impegno di personalità come Adílson Monteiro Alves, direttore tecnico della squadra, e a giocatori come WladimirCasagrande e Zenon, i calciatori e lo staff del club iniziarono a praticare l’autogestione totale: dai pasti, alle divise, ai ritiri, tutto veniva scelto dal collettivo riunito. Il Corinthians, oltre a vincere il Torneo Paulista per due volte, riuscì a imporsi come simbolo della lotta dei brasiliani per la democrazia.

    Il movimento della Democracia Corinthiana seppe utilizzare il calcio come mezzo di comunicazione di massa, ad esempio scendendo in campo con slogan politici sulle maglie, sfruttando l’enorme popolarità del futebol.

    “Il 15 vota”, si legge su una divisa del 1982: la cittadinanza era chiamata a sfruttare l’occasione delle elezioni municipali, concesse dal potere centrale, per mettere ancora più in difficoltà una dittatura già vacillante.

    Qualche anno dopo, nell’ambito della campagna a favore delle elezioni presidenziali dirette, Socrates affermò che sarebbe stato pronto a rinunciare al suo imminente trasferimento a Firenze se il relativo emendamento costituzionale fosse stato approvato. L’emendamento non passò e Socrates venne in Italia, dove non brillò e soprattutto non fu capito. Gli anni Settanta erano finiti da un pezzo.

    Si ringrazia la pagina “Storia della Roma” per aver segnalato per prima l’articolo in questione, uscito sul “Guerin Sportivo” del 2 luglio 1980.

    Pubblicato su Gioco Pulito il 22 agosto 2016

    * * *

  • Amedspor, la squadra curda che spaventa Erdogan

    Lo scorso 2 febbraio l’unità anti-terrorismo della polizia turca ha fatto irruzione nella sede dell’Amedspor, sequestrando computer e documenti dagli uffici del club. L’Amedspor è una squadra di terza serie e ha sede a Diyarbakır, capitale del Kurdistan turco sulle sponde del fiume Tigri. Il 31 gennaio, contro ogni previsione, aveva clamorosamente eliminato dalla coppa nazionale il Bursaspor, squadra della massima serie turca, garantendosi un posto ai quarti di finale contro il Fenerbahce primo in campionato.

    La notizia dell’irruzione, diffusa in Italia attraverso i canali social del blog Minuto Settantotto, è stata divulgata in inglese dall’agenzia di stampa turca Cihan e dal sito d’informazione Kurdish Question.  Rispetto ai motivi ufficiali del blitz, però, è necessario procedere con cautela. Stando a quanto riportato da Today’s Zaman, versione in lingua inglese del quotidiano turco Zaman, il vicepresidente del club Nurullah Edemen avrebbe dichiarato che nessun dirigente dell’Amedspor è stato informato sui motivi dell’irruzione, nonostante tutto il direttivo fosse presente in sede.

    Il sito Kurdish Question ha invece sostenuto che la polizia ha proceduto in seguito ad un tweet inneggiante al terrorismo, attribuito dalle forze dell’ordine all’account della stessa società sportiva. Come ha invece chiarito il dirigente Servet Erol, il tweet era stato diffuso da un account che nulla ha a che vedere con quello ufficiale: un errore molto grossolano, che ha indotto la dirigenza dell’Amedspor a credere che quella della polizia sia stata un’operazione intimidatoria, più che di indagine.

    Il tweet in questione, ormai eliminato, dedicava l’incredibile vittoria contro il Bursaspor a chi combatte nelle città di Şırnak e Diyarbakır e a tutto il popolo curdo. Parole in cui riecheggiano i cori da stadio che sono costati caro ai tifosi dell’Amedspor. Infatti i rossoverdi, durante la precedente partita di coppa, giocata a Istanbul contro il Başakşehirspor, avevano intonato canti a favore dei combattenti curdi e contro le stragi di bambini.

    A seguito della partita, ai tifosi era stata vietata la trasferta di Bursa, costringendoli a seguire a distanza lo storico successo della loro squadra. Ma ancora più eclatante è stato l’arresto a Istanbul di decine di tifosi – più di trenta per Kurdish Question, di cento per Today’s Zaman – colpevoli di aver intonato i cori sgraditi.

    Le sanzioni

    Ma le sanzioni a seguito della partita non riguardarono solo i tifosi. Il giocatore Deniz Naki, artefice del secondo goal contro il Bursaspor, fu squalificato per 12 giornate e multato di 19.500 lire turche, colpevole di aver pubblicato sui social un post che recitava: «Siamo fieri di essere un piccolo spiraglio di luce per la nostra gente in difficoltà. Come Amedspor, non ci siamo sottomessi e non ci sottometteremo. Lunga vita alla libertà!». Come riportò Kurdish Daily Newsil giocatore fu accusato di “discriminazione e propaganda politica”. Naki, un passato nel FC Sankt Pauli di Amburgo, porta tatuata sul braccio la parola Azadî, libertà.

    Non fu la prima volta che la squadra rossoverde si rese scomoda al regime di Erdoğan. Nell’ottobre del 2014 il club, che portava il nome turco della città di Diyarbakır, rimediò una multa dalla Federazione turca per aver cambiato nome in Amedspor, utilizzando la denominazione curda della città. Contemporaneamente, un cambio nello stemma permise ai tifosi di sventolare i colori della bandiera del Kurdistan, vietata in Turchia: un espediente non nuovo nel mondo del calcio, che ricorda – con le ovvie e dovute differenze – quando durante il regime di Franco i catalani quasi elessero a nuova bandiera nazionale quella blaugrana, per rimpiazzare la senyera vietata dalla dittatura.

    La Coppa di Turchia 2015-16 è entrata nella storia della questione curda. Una squadra di terza divisione stva incredibilmente scalando la Coppa nazionale, portando la voce dei curdi lì dove meno la si vorrebbe in evidenza. La compagine venne poi eliminata ai quarti dal Fenerbahce ma ancora oggi, ad ogni partita dei rossoverdi, si alza il grido di un popolo che chiede di poter vivere in pace rivendicando la propria identità.

    La partita con il Başakşehirspor a Istanbul fece clamore per i cori, gli arresti, il divieto di trasferta. L’eccezionale qualificazione ai quarti ai danni del Bursaspor fece parlare tutto il paese di questa squadra ribelle, che forse arrivò troppo in alto iniziando a dar fastidio, tanto da essere divenuta oggetto di un’irruzione che ancora oggi sembra poco motivata.

    I tifosi uniti

    La questione unì anche le tifoserie avversarie, che a più riprese negli anni hanno espresso solidarietà nei confronti del popolo curdo. Ci si può fare un’idea leggendo qualche riga del comunicato che decine di gruppi ultras della Turchia, tra cui tifosi di Amedspor e Fenerbahce, diffusero a gennaio 2014 (traduzione di E. Karaman): «Il governo si riempie da sempre la bocca con lo slogan “non dividiamo il paese”, ma poi perseguita e uccide proprio chi vuole che il nostro paese viva in pace e in armonia tacciandoli come traditori. In questo paese c’è soltanto una distinzione: chi, guardando un bambino morto a terra colpito da una pallottola, si domanda se quel bambino fosse curdo o meno e chi invece piange tutti i bambini di tutte le etnie. […] La vergogna più grande dell’umanità è la colpa della guerra, una guerra di cui noi non faremo parte».

    Pubblicato su Gioco Pulito il 5 febbraio 2016

    * * *

  • A Torino rinasce il Filadelfia: la nuova casa del Toro sarà un luogo di cultura e aggregazione

    Sul sito della Fondazione Filadelfia c’è una webcam che dall’alto mostra costantemente lo stato dei lavori. Non è solo un segnale di trasparenza. Sta lì a dire: guardate che stavolta lo stiamo facendo davvero. Dagli anni Ottanta ad oggi, dopo innumerevoli tentativi di ricostruzione (su Wikipedia se ne elencano almeno sette), questa è veramente la volta buona: il Fila non sarà più solo un simbolo della storia granata.

    A Via Filadelfia tornerà a sorgere la casa del Torino FC, che sarà, innanzitutto, un centro sportivo dotato di due campi di calcio. Uno per gli allenamenti della prima squadra e uno per le partite della Primavera. Quest’ultimo disporrà di una tribuna coperta e di tribune minori sui tre restanti lati, per una capienza totale di oltre 4.000 posti. Sotto la tribuna gli uffici del Club, la sede della Fondazione, la foresteria per le giovanili, parcheggi, sala stampa ed altre aree da destinare.

    Ma non sarà solo un centro sportivo all’avanguardia. La tradizione vuole, infatti, che il Filadelfia sia il luogo d’incontro tra club e tifosi. E allora quella sportiva sarà solo una parte del moderno polo multifunzionale, che presenterà notevoli spazi dedicati alla cultura e all’aggregazione. Sarà un luogo in cui si respirerà la forte volontà del mondo granata di sanare il proprio debito con la Storia, rendendo finalmente un tributo perpetuo ai caduti di Superga e curando una ferita da troppi decenni aperta nel tessuto urbano della città. Nel progetto, i richiami al passato sono un po’ ovunque: dai luminosi Piloni della Memoria, che porteranno i nomi dei giocatori del Grande Torino, a due porzioni originali di gradinata salvate dalla demolizione, fino al Museo del Grande Torino, che troverà finalmente la sua sede fissa nell’area socio-aggregativa prevista dal progetto.

    Cesare Salvadori è il Presidente della Fondazione Stadio Filadelfia, nonché ex schermidore, vincitore di un oro e due argenti nella sciabola a squadre ai giochi olimpici tra gli anni Sessanta e Settanta. È lui che, con entusiasmo e determinazione, coordina la rinascita del tempio granata. «La Fondazione», ci spiega Salvadori, «è composta dal Comune di Torino, dalla Regione Piemonte, dal Torino FC e da sette associazioni di tifosi, tra cui quella che gestisce il Museo del Grande Torino a Grugliasco. Lo scopo è quello di costruire il centro sportivo, che sarà poi affittato al Torino FC, e di realizzare la parte socio-aggregativa del complesso, alla quale tengono molto le due istituzioni coinvolte».

    Il progetto è diviso in tre lotti. Ciò ha permesso alla Fondazione di finanziarli uno per volta e di iniziare nel frattempo i lavori del primo lotto, che è già finanziato grazie al contributo complessivo di 8 milioni versati da Comune (3,5), Regione (3,5) e Fondazione Mamma Cairo (1). «Se il meteo continua ad assisterci e non sorgono ulteriori impedimenti burocratici», continua Salvadori, «prevediamo di inaugurare l’impianto sportivo, cioè il primo lotto, il 17 ottobre 2016. Ovvero, contiamo di consegnare al Torino l’impianto sportivo nel giorno in cui ricorreranno novant’anni dall’inaugurazione del Filadelfia».

    Se la parte sportiva del progetto è già quasi interamente finanziata, bisogna però trovare i fondi per tutto il resto. Il secondo lotto è composto da tutto ciò che si trova nei tre piani interni alla tribuna coperta, da alcune aree all’aria aperta e dai Piloni della Memoria. Il terzo corrisponde invece all’area che si affaccia su Via Giordano Bruno (museo, bookshop, negozi ed area ristorazione) e la sua progettazione sarà ultimata entro marzo 2016. Resta inoltre da finanziare il restauro delle due porzioni storiche di gradinata.

    Chi pagherà dunque la realizzazione del secondo e terzo lotto? «Chiunque voglia. Abbiamo infatti lanciato una campagna di crowdfunding chiamata “Insieme per il Fila”, grazie alla quale in autunno avevamo già superato il traguardo dei 200 mila euro. Si può partecipare con contributi dai 50 euro in su, fino ad ottenere, superando i 1.000 euro, l’intitolazione di un seggiolino al donatore o a una persona che non c’è più. Magari a qualcuno che avrebbe sognato di vedere risorgere questo stadio». La Fondazione inoltre porterà avanti una campagna mirata per coinvolgere i Toro Club e le imprese locali, di modo che il crowdfunding vada di pari passo con la ricerca di sponsor.

    Anche se il finanziamento della seconda parte del progetto si potrà realizzare in varie forme, ci saranno dei paletti: «Per volere dei tifosi, non si permetterà a privati di realizzare opere di tipo commerciale per finanziare l’impianto sportivo. Ovvero, niente palazzine e niente parcheggi interrati realizzati da altre società: il terreno del Filadelfia rimarrà tale nella sua interezza».

    Nei decenni passati i tifosi granata ne hanno viste e sentite tante sul Filadelfia. Troppe volte sono stati portati a sperare nella sua ricostruzione, e altrettante sono stati delusi. Per questo all’inizio è stato difficile, per la Fondazione, convincere tutti che questa era la volta buona.

    Oggi invece, la ricostruzione del Fila sembrerebbe aver messo d’accordo proprio tutti. Al progetto collaborano, ognuno nelle sue forme, soggetti che vanno dagli ultras della Curva Maratona alle istituzioni. Passando per Toro Club, associazioni, imprese e sponsor. Un’unità d’intenti che sembrerebbe irrealizzabile in qualsiasi altro contesto. «Dobbiamo essere considerati come un caso a parte», spiega Salvadori, che fa da guida alla variegata comunità di sostenitori. «Noi abbiamo alle spalle delle tragedie, intendo quelle di Superga e di Meroni, che fanno della squadra di Torino e della sua storia un caso unico non solo in Italia, ma forse al mondo. Il Filadelfia è il residuo storico di questi eventi tragici. Noi tifosi questo lo sentiamo sulla pelle e ci permette di restare così uniti verso l’obiettivo».

    Conclude emozionato: «Per trasmettere meglio il sentimento che è alla base di questa storia, vorrei raccontare una cosa. Nel 2014 sono ricorsi i 65 anni della tragedia di Superga. Il 4 maggio a Superga c’è stata una messa e un momento di raccoglimento attorno al luogo dell’incidente aereo. In questa occasione l’accesso in auto viene sempre bloccato, perciò si sale a piedi: quel giorno 20 mila persone fecero a piedi l’intero percorso! Bambini, anziani, persone col passeggino. Raramente ho provato un’emozione così forte come quella ha colto me e gli altri tifosi in quell’occasione. Questo forse aiuta a comprendere perché una intera e variegata comunità remi unita verso un unico obiettivo».

    Il rilancio del calcio italiano, è cosa nota, passa anche per la valorizzazione degli impianti e dei settori giovanili. Questo progetto, a guardarlo bene, prende due piccioni con una fava: si costruirà uno stadio e sarà utilizzato dalle giovanili del Torino. Ma non solo, perché il rilancio del calcio italiano, e questa forse è convinzione meno comune, passa anche per il recupero dei valori e delle storie che in passato lo hanno fatto grande. Aspetti che oggi vengono spesso ignorati in nome di logiche di business che hanno reso gli appassionati di questo sport sempre più clienti e meno tifosi. Per una volta, finalmente, la rinascita del nostro screditato pallone passerà invece per chi dovrebbe averlo più a cuore: in primis tifosi, club e istituzioni. Ti aspettiamo Filadelfia.

    Pubblicato su Gioco Pulito il 22 gennaio 2016

    * * *

  • In Argentina i tifosi riportano il San Lorenzo a Boedo

    A volte i sogni di una comunità hanno una forza tale che non possono essere fermati né da interessi economici, né da difficoltà apparentemente insormontabili. Lo sanno bene a Buenos Aires, dove i tifosi del San Lorenzo de Almagro hanno passato il più bel Natale della loro vita. Dopo una mobilitazione durata anni, sono riusciti nell’impresa di ricomprare i terreni in cui sorgeva il Viejo Gasómetro, lo storico e amato stadio che si videro sottrarre da poteri legati alla dittatura militare. La ditta Carrefour, incalzata da una “Legge di Restituzione Storica” e da una mobilitazione nazionale, ha accettato l’offerta che riporterà lo storico club argentino nell’unico posto al mondo a cui appartiene, il quartiere di Boedo.

    Qui, agli inizi del Novecento, un prete salesiano accolse nell’oratorio della sua parrocchia un gruppo di ragazzi dediti al fútbol di strada, per salvarli dai pericoli dovuti all’aumento di bus e tram in circolazione. Nel 1908 quei ragazzi fondarono il Club Atlético San Lorenzo de Almagro, aiutati dal prete che, non a caso, di nome faceva proprio Lorenzo.

    Il quartiere di Boedo è sempre stato il cuore della Buenos Aires rosso-blu e qui, nel 1916, fu inaugurato l’impianto che per 63 anni ha ospitato la squadra. Lo stadio in legno, dipinto con i colori della squadra, divenne subito famoso per l’energia che sprigionava grazie al calore dei tifosi.

    Ma il Viejo Gasómetro non era solo uno stadio. Era un punto di riferimento per gli amanti dello sport, grazie alle discipline sviluppate dalla polisportiva, ma anche un vero e proprio centro sociale e culturale per la zona: grazie alla biblioteca, al teatro, al cinema e alle leggendarie celebrazioni del carnevale era il fulcro della vita del quartiere.

    Questo perfetto connubio tra stadio, club e territorio era però destinato ad interrompersi bruscamente nel 1979. Alla crisi economica e gestionale del San Lorenzo si aggiunse il torbido comportamento delle autorità cittadine che, facendo gli interessi del regime di Videla, riuscirono a separare il San Lorenzo dal suo stadio. L’intendente Osvaldo Cacciatore, principale carica della città di Buenos Aires, non aveva mai visto di buon occhio una squadra di calcio così impegnata in ambito sociale e culturale.

    La società fu così costretta a suon di minacce a vendere i terreni dello stadio a due aziende collegate al regime militare, peraltro ad un prezzo irrisorio. Il club ottenne in regalo il terreno di Bajo Flores, zona estranea alla sua storia, in cui il San Lorenzo disputa ancora gli incontri casalinghi. Gli accordi, se si possono definire tali, comprendevano una clausola che vietava interventi edilizi di tipo commerciale al posto dello stadio. L’anno successivo si manifestarono i reali intenti di chi aveva macchinato l’operazione: il terreno del Viejo Gasómetro fu venduto ad un prezzo otto volte maggiore alla compagnia francese di supermercati Carrefour, senza che vi fosse traccia della clausola. Fu così reciso il cordone ombelicale tra il San Lorenzo e il quartiere di Boedo, relazione scomoda in anni di dittatura militare, e un’operazione speculativa sostituì lo stadio con un enorme supermercato che, ancora oggi, si trova al civico 1700 di Avenida La Plata.

    Per più di dieci anni il San Lorenzo fu costretto a girovagare per la città, giocando sempre in trasferta ospite di qualche altro club, finché nel 1993 non si inaugurò l’attuale impianto di Bajo Flores. Ma quello che per lungo tempo rimase un sogno di pochi nostalgici, è diventato nell’ultimo decennio una battaglia concreta e collettiva: la vuelta a Boedo. Ciò è stato possibile grazie a chi, pur senza stadio, ha deciso che lo spirito del Viejo Gasómetro dovesse continuare a vivere nel quartiere. La Subcomisión del Hincha, un’organizzazione di tifosi nata dal basso, opera da anni in difesa della storia e delle tradizioni del club e porta avanti attività culturali e sociali aperte a tutti, nel segno dei colori azulgrana: sport di tutti i tipi, iniziative con le scuole, corsi di sostegno scolastico e la gestione della biblioteca “Osvaldo Soriano”. Non c’è da stupirsi se è stata proprio questa organizzazione il principale motore di tutte le mobilitazioni che hanno portato prima il club, poi le istituzioni locali, a muoversi per raggiungere lo storico accordo sancito il 23 dicembre.

    Nel 2012, dopo una stagione di accese proteste, con manifestazioni che toccarono i 100.000 partecipanti, l’organo legislativo dell’area metropolitana di Buenos Aires approvava la Ley de Restitución Histórica, una legge che, riconoscendo il sopruso avvenuto in epoca dittatoriale, obbligava il San Lorenzo e la Carrefour a trovare un accordo economico per la cessione dei terreni, pena l’espropriazione e la cessione al club sportivo. Le vie di Boedo si riempivano di una fiumana di gente colorata di rosso-blu: un’intera comunità iniziava finalmente a vedere la fine dell’esilio.

    Una fine che si vedeva, ma che non era neanche così vicina. I tifosi del San Lorenzo vollero subito mettere a tacere i politici che sostenevano l’infattibilità dell’operazione immobiliare per carenza di fondi da parte del club e delle istituzioni locali, decidendo di caricarsi essi stessi dell’onere economico che la vuelta comportava.

    Difatti la recente presentazione di un’offerta concreta da parte del club è stata possibile solo grazie ad un’enorme campagna di finanziamento popolare, coordinata dalla Subcomisión del Hincha, che ha permesso ad ogni tifoso di comprare simbolicamente il proprio metro quadrato di stadio. L’iniziativa di crowdfunding, sostenuta da tifosi illustri come Papa Francesco, Viggo Mortensen ed Ezequiel Lavezzi, ha rappresentato il fiore all’occhiello di una mobilitazione che si è distinta per essere pacifica e di massa. Su internet o presso delle sedi fisiche i tifosi, con poche centinaia di euro, hanno potuto pagare l’equivalente di un metro quadrato del terreno, a nome proprio o di chi non c’è più. E per chi non poteva permettersi l’esborso, grazie ai social network è stato possibile contribuire all’acquisto di un metro quadrato con qualsiasi cifra, condividendolo con altri sostenitori.

    Grazie a questa imponente iniziativa, il 19 novembre 2015 il San Lorenzo ha potuto finalmente presentare la sua offerta da 94 milioni di pesos per tornare in possesso dell’area. La Carrefour, allo scadere del mese che aveva a disposizione per rispondere, ha chiesto ulteriore tempo. Per tre giorni, dal 18 al 20 dicembre, numerosi supermercati Carrefour di tutta l’Argentina sono stati presidiati da migliaia di tifosi che chiedevano una risposta dovuta per legge.

    Il 21 dicembre, il Ministro della Sicurezza ha definito un nuovo ultimatum: se entro le ore 12 del 24 dicembre la multinazionale francese non avesse risposto alla proposta, i terreni sarebbero stati espropriati. Il 23 dicembre 2015, dopo ore di tese riunioni, la Carrefour ha accettato la proposta di 94 milioni di pesos che riporterà in San Lorenzo a giocare a Boedo.

    Dopo decenni di esilio, il San Lorenzo tornerà dunque al luogo che lo ha visto nascere. Non è ancora possibile sapere con certezza quando ciò avverrà, ma ciò che è sicuro, e che al momento importa, è che avverrà. Verrebbe da dire che quello ottenuto il 23 dicembre sia il più bel regalo di Natale che i tifosi del San Lorenzo potessero immaginare. Ma i regali si ricevono. I terreni del Viejo Gasómetro, invece, sono frutto di una battaglia civile durata anni, terminata con un acquisto che, dal punto di vista storico ed etico, non era nemmeno dovuto. Ma, se questo era il prezzo da pagare per mettere a tacere chi vedeva irrealizzabile l’operazione per mancanza di fondi, allora è giusto, come dice un coro che tutti i tifosi del San Lorenzo conoscono, che la vuelta a Boedo la porti avanti la gente.

    Pubblicato su Gioco Pulito il 3 gennaio 2016

    * * *